Considerazioni della SAT rispetto al progetto di collegamento tra Malga Crel e Malga Scanaiol, tramite strada forestale. all’interno del Parco naturale di Paneveggio – Pale di San Martino, in un’area importante per il gallo cedrone.
In questo periodo di lock down, in cui il mondo si è pressoché fermato, noi umani ci troviamo come bloccati in una situazione paradossale di “cattività” forzata ad osservare passivamente, fuori dalle nostre finestre, una natura che inarrestabile e mai tanto tranquilla, segue il suo corso.
Dopo tutto quello che abbiamo capito riguardo alle derivazioni della pandemia, alle cause antropiche di disturbo e sfruttamento ambientale che possono portare a tali conseguenze e dopo aver riflettuto su quello che è possibile fare per evitare tutto questo, ci siamo forse illusi di poter uscire da questa esperienza cambiati, negli stili di vita, nella mentalità, nell’approccio alla natura e magari di uscirne più consapevoli della nostra impronta ecologica e quindi, per certi versi, più sensibili e recettivi.
In questo contesto quasi surreale, di sospensione delle attività e quasi totale assenza umana su strade, città e montagne, la notizia del progetto e dei lavori relativi alla nuova strada forestale, di collegamento tra Malga Crel e Malga Scanaiol, prevista all’interno del Parco naturale Paneveggio - Pale di San Martino e la conseguente distruzione di un’importante arena di canto di gallo cedrone, hanno il gusto amaro di un brusco risveglio, di un violento ritorno alla realtà: una strada forestale, l’ennesima, progettata e realizzata con l’urgenza dettata dal post - Vaia, dalla necessità di prelevare dal bosco quanto più legname e quanto più in fretta possibile, per salvare la produzione e prevenire possibili pullulazioni di bostrico.
Una progettazione d’urgenza, volta a massimizzare la resa, senza alcuna ulteriore riflessione sugli altri valori e sulle funzioni dell’arena di canto stessa, che il tracciato interessa, incurante degli elevati impatti che questa avrebbe su specie autoctone di rilievo e sugli habitat interessati. Una strada che non serve a null’altro se non a recuperare legname schiantato, un’opera definitiva dettata da un’esigenza momentanea, da realizzare all’interno di una ZSC (ovvero una Zona Speciale di Conservazione, secondo la Rete Natura 2000, Direttiva Habitat 92/43/CEE), dentro un’arena di gallo cedrone, in una delle zone più importanti del Trentino e delle Alpi Orientali per la conservazione dei tetraonidi. Una strada che, per assolvere alle mere funzioni di cui sopra, avrebbe potuto (e forse dovuto) avere una lunghezza assai più ridotta, evitando le zone più delicate.
Un’attenzione e un rispetto dovuti, all’interno di un Parco naturale provinciale che negli anni ha promosso progetti con importanti collaborazioni internazionali che hanno contribuito a ampliare la nostra conoscenza sulla specie: sforzi e investimenti che rischiano di essere irrimediabilmente vani, se l’area più vocata per il cedrone di tutta la valle del Primiero venisse distrutta da una strada forestale.
Ora, senza voler aggiungere nulla all’esaustiva istruttoria tecnica elaborata dagli organi tecnici del Parco naturale Paneveggio – Pale di San Martino e allegata alla deliberazione della Giunta del Parco, la SAT vorrebbe fare luce su questa apparente assenza di valutazioni “altre” nell’approcciare e disporre queste progettazioni in aree tanto delicate e peculiari.
La SAT si chiede come sia possibile che la Provincia autonoma di Trento, antesignana della selvicoltura naturalistica, della multifunzionalità di un bosco sempre più parte integrante dell’esperienza di eco-vacanza in Trentino, possa lasciare che la pianificazione forestale, anche se in emergenza, si dimostri così miope da valutare e considerare il bosco come superficie esclusivamente produttiva, non curandosi affatto delle aree protette, della tutela della biodiversità, dei servizi ecosistemici, delle normative nazionali e delle Direttive europee, vigenti in materia di protezione e conservazione ambientale.
La SAT si chiede ed esorta amministratori e cittadini a fare la stessa riflessione, se non sia il caso di rivedere l’approccio meramente economico-produttivo con il quale è stato affrontato il post -Vaia, senza sentire alcuna necessità di fare un ragionamento diverso per le aree colpite dalla tale tempesta e situate all’interno delle aree protette provinciali, facendo prevalere il valore ecologico, dando la giusta importanza alla conservazione faunistica e ambientale, considerando l’opportunità di studio, ricerca e monitoraggio sulla ripresa naturale del bosco, sul legno morto (di cui i nostri boschi sono estremamente poveri) e, più in generale, sulla biodiversità e sulla resilienza delle nostre foreste verso un evento cataclismatico che, purtroppo, probabilmente non resterà isolato.
Purtroppo, sembra invece si sia persa l’ennesima occasione per avviare quel cambiamento che, da più parti della società, anche alla luce degli attuali accadimenti, è sentito come impellente. In questo contesto, almeno le aree protette dovrebbero essere maggiormente sostenute e incoraggiate, come laboratori in cui pensare, analizzare, sperimentare e attuare nuovi modelli di pianificazione e gestione del territorio, nonché di sviluppo socio-economico, che riconoscano nella tutela della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi, i valori imprescindibili per uno sviluppo autenticamente sostenibile e durevole del territorio. Ci auguriamo che anche queste nostre considerazioni contribuiscano ad una doverosa riflessione da parte di chi può ancora fermare la realizzazione dell'opera.
Ufficio stampa SAT Centrale
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