Le polemiche nate attorno alla decisione di SAIT di disdire contratti con alcuni panificatori per concentrare i propri ordini nella mani di un fornitore unico potrebbe sembrare a prima vista una semplice scelta di mercato.
Una soluzione frutto di valutazioni economiche e strutturali pienamente legittime per un’impresa.
Peccato, però, che accanto a queste valutazioni economiche vi siano anche delle dichiarazioni che fanno capire come questa decisione sia frutto di una filosofia aziendale lontana anni luce dallo spirito cooperativistico tipico del Trentino.
Siamo perfettamente consci che i tempi in cui ci troviamo ora siano diversi rispetto a quelli in cui don Lorenzo Guetti dava il via ad un’esperienza che ha modificato radicalmente il tessuto sociale ed economico della nostra terra portando benessere e sviluppo e solo un folle potrebbe pensare che a distanza di più di un secolo sarebbe possibile proporre le stesse identiche soluzioni di allora, come se nel frattempo non fosse cambiata sia la condizione economica dei trentini che dinamiche e dimensioni del mercato locale e globale. Tuttavia leggere le dichiarazioni del presidente di SAIT fa inorridire non solo don Guetti, che probabilmente si sta rivoltando nella tomba, ma tutti coloro che credono ancora nel sistema cooperativo come volano di sviluppo equo, sostenibile e in grado di aiutare tutti gli attori della società trentina: produttori, venditori, consumatori, anche i più deboli.
Sentire il presidente Simoni affermare che “la nostra mission [di SAIT] non è tutelare il singolo panificatore, allevatore, produttore di fragole. Non possiamo accontentare tutti gli attori dell’economia trentina” fa capire come purtroppo abbia dimenticato cosa la sigla dell’azienda che presiede significhi: Sindacato Agricolo Industriale Trentino. Cioè non un semplice consorzio di cooperative, ma un vero e proprio ente di tutela degli interessi. Di chi? Sicuramente delle cooperative di consumo, ma anche di coloro che, attori economici trentini, vedono nel SAIT un naturale sbocco per la commercializzazione dei propri prodotti.
Purtroppo, però, questa è solo l’ultima azione proveniente da alcuni vertici del mondo cooperativo che va contro lo spirito iniziale in nome di una modernizzazione che non può diventare negazione della storia precedente. Anni fa gli autonomisti erano scesi in campo sempre a fianco dei panificatori per un provvedimento simile a quello odierno (come dimenticare l’impegno di Leone Binelli e di molti altri per far valere le ragioni del settore?).
Gli ideali non sono solo un portato nostalgico del passato: rammarica, ad esempio, la scelta delle Casse Rurali di rinunciare al loro storico logo: il fascio di spighe preso dallo stemma del Principe-vescovo Clesio, non è solo parte della storia trentina ma un simbolo di unione e di forza. Al suo posto sono stati messi tre anonimi quadratini colorati privi di qualsiasi simbologia o legame con il territorio.
O come interpretare la denominazione della Cassa Rurale di Trento che, almeno a livello pubblicitario e di logo, ha eliminato il termine “rurale”? Forse perchè ritenuto troppo provinciale e contadino? Oppure perchè rischiava di non farla sembrare una banca come le altre? Ma una cooperativa non nasce per guardare alle mode o per fare concorrenza agli altri. Nasce prima di tutto per l’aiuto e il sostegno reciproci nel territorio di azione.
Come autonomisti siamo preoccupati per questa piega presa da alcuni settori della cooperazione trentina. Speriamo che da queste gravi affermazioni esca un forte sussulto da parte del mondo cooperativo, in larga parte ancora sano, propositivo e determinato a portare avanti la mission per il quale è nato nell’800. Da parte nostra continueremo a denunciare atteggiamenti gravi e insensati che rischiano di portare l’intero movimento verso un baratro dal quale difficilmente potrebbe uscire.
Simone Marchiori - Segretario politico PATT
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