Il 7 marzo i contagi giornalieri da Covid-19 rilevati a livello nazionale aumentavano per la prima volta oltre le mille unità, 1.247 per la precisione, e tutti invocavano di "fermare tutto". Le ultime rilevazioni parlano ancora di oltre duemila contagi giornalieri, 2.086 per la precisione, ma nonostante questo vorremmo "riaprire tutto". E' vero, la curva delle infezioni è certamente discendente, sono aumentati il numero di tamponi e le protezioni individuali, ma è evidente che è cambiato anche il nostro modo di percepire la pandemia ancora in corso. Sarà difficile trovare il fragile equilibrio che permetta di difenderci dal virus e allo stesso tempo consentire agli imprenditori che possono garantire le misure di sicurezza di riaprire subito le loro attività. Il rischio è di morire asfissiati, ma non certo per il Covid-19.
Penso che in questa fase, nella quale è ben radicata la consapevolezza che il rischio di contagio è ancora alto, non abbia più senso impedire la riapertura di quelle attività che possono essere svolte su appuntamento e che non prevedono assembramento di clientela, come parrucchieri, centri estetici e simili. Questo arginerebbe anche il fenomeno delle prestazioni in nero che, oltre a creare un danno fiscale (lo dimostrano le 20 lettere di diffida partite dalle associazioni trentine di categoria negli ultimi giorni), aumentano anche le probabilità di contagio a causa degli spostamenti di persone esterne al nucleo famigliare tra una casa e l’altra.
Penso inoltre anche a tutte quelle attività che si sono viste rimandare a giugno (ristoranti, bar, pizzerie, pasticcerie…) nonostante abbiano messo a punto protocolli specifici per riaprire nella massima sicurezza e che nel frattempo potranno lavorare solo con consegne a domicilio o da asporto: una condizione che non potrà mai bastare a tenere in piedi un’attività. Quando potranno riaprire, si troveranno a scontare l’inevitabile crollo del fatturato che deriverà dalle disposizioni sugli ingressi contingentati, sulle distanze di sicurezza, sulle sanificazioni e i dispositivi di protezione, e gli obblighi che potrebbero essere introdotti per classificare un locale come Covid-free (cosa che farebbe ingrassare certamente gli enti certificatori che nasceranno come funghi, motivo per cui sarebbe utile un balzo in avanti della pubblica amministrazione in materia). In cambio di questa annunciata agonia, l’unica certezza loro garantita è al momento rappresentata dal periodo di chiusura, senza alcuna sicurezza sulle misure di sostegno a loro rivolte. Inutile evidenziare come una loro chiusura eccessivamente prolungata e non giustificata, rischia di compromettere anche le filiere di supporto a questi settori. Penso ad esempio alla filiera agroalimentare (fortemente rappresentata in Trentino da molti prodotti di qualità come vini, formaggi, carne, prodotti ortofrutticoli, ecc…) che in assenza del canale della ristorazione rischia di essere decimata.
Per questo guardo positivamente alle iniziative su questo tema annunciate dalla Giunta provinciale. Già numerose proposte qualificate sono arrivate dalle diverse associazioni di categoria, devono solo essere vagliate e attuate, ma bisogna farlo prima possibile.
Cons. Claudio Cia
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