Considerata la situazione emergenziale dovuta alla diffusione del Covid-19, che richiede urgenti e opportuni interventi negli istituti penitenziari, come sottolineato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nelle linee guida emanate il 15 marzo u.s., per arginare il rischio di trasmissione della malattia all'interno delle carceri, il Governo italiano ha deciso che coloro che devono scontare pene o residui di pena inferiori a diciotto mesi, potranno usufruire degli arresti domiciliari.
Questa decisione però ha trovato un grosso ostacolo: spesso i detenuti non hanno un domicilio, sono stranieri o senza fissa dimora, persone che per gravi problemi familiari sono impossibilitati a trovare accoglienza a casa. Frequentemente sono senza risorse economiche e senza lavoro.
Tutte queste persone sono costrette a rimanere in carcere, con grave rischio per la salute propria, degli altri ospiti e di coloro che per lavoro ne vengono a contatto .
Si è reso quindi necessario intervenire per favorire l'accesso alle misure non detentive con il reperimento di alloggi pubblici o privati di accoglienza e cura, per tutte quelle persone che hanno i requisiti giuridici per accedere alle misure non detentive, ma anche per coloro che per motivi sanitari siano in condizioni non compatibili con la permanenza in ambito carcerario.
Allo scopo la Direzione generale per l’esecuzione penale esterna del Ministero della Giustizia ha emesso un bando con lo scopo di finanziare «l’inclusione sociale di persone senza fissa dimora», con l’obiettivo di tenere comunque fuori dal carcere chi non ha una casa dove scontare gli arresti domiciliari.
Sono stati stanziati cinque milioni di euro, destinati alle Regioni, Province autonome e alle realtà del cosiddetto «terzo settore» disponibili a offrire ospitalità o soluzioni abitative e di accoglimento per i detenuti più disagiati.
Il finanziamento statale viene erogato tramite la Cassa delle ammende, alla quale si sono rivolte molte Regioni interessate. Il contributo è di venti euro al giorno per ciascuna persona accolta, per un periodo di sei mesi e, comunque, non oltre i diciotto mesi.
Il 7 aprile il Ministero della Giustizia ha pubblicato un avviso per una manifestazione di interesse riguardante un Progetto di inclusione sociale per persone in misura alternativa – per il Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. Così in molte Regioni italiane.
L'obiettivo dell'avviso è incrementare il numero delle persone ammesse all'esecuzione della parte finale della pena presso il domicilio, il loro reinserimento sociale e la tutela della salute durante l'emergenza sanitaria.
I detenuti, presi in carico dalla rete dei servizi sociali e sanitari del territorio, potranno usufruire di un sostegno diretto al superamento degli ostacoli che ne impediscono l'immediato e adeguato reinserimento nel contesto sociale, attraverso azioni di accompagnamento nella delicata fase di conclusione della pena.
Le proposte dovevano pervenire entro il 20 aprile 2020.
La Provincia di Trento pare non abbia ritenuto di accedere al bando promosso dal Governo. Sembra anzi che il Presidente della Provincia di Trento abbia chiesto al collega Zaia, Presidente della Regione Veneto, che invece ha accettato i fondi statali, di ospitare venti dei nostri detenuti. Pare abbia avuto risposta negativa.
Ciò premesso interrogo il presidente della Provincia di Trento per sapere:
Cons. Lucia Coppola (Futura)
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