Di seguito il mio commento relativo alla situazione economica che si sta generando a seguito delle chiusure delle attività per fronteggiare questa terribile pandemia. Ho posto alcune riflessioni per la ripartenza, sperando che possa avvenire in tempi non troppo lontani, anche alla luce delle decisioni assunte dalla Giunta provinciale in questi giorni.
COVID19 Ripartiamo.
“Emergenza COVID19”: la causale che è stata predisposta per il ricorso ai vari ammortizzatori sociali ci mette di fronte al doloroso scenario economico che con sempre maggior preoccupazione si sta affiancando a quello sanitario. È necessario essere realisti: decine di imprese, costrette alla chiusura, non saranno in grado di riaprire o di recuperare il fatturato in filiere interrotte dal crollo dei mercati. La prima reazione a questa situazione senza precedenti è stata, correttamente, quella di prevedere ammortizzatori sociali che potessero dare una prima risposta, per citare numeri trentini, ai 55 mila lavoratori del terziario e delle piccole imprese, ai 17 mila dell’agricoltura e del commercio, ai 14 mila dell’industria. Ma i fondi messi a disposizione per alimentare la Cassa integrazione ordinaria, il Fondo di Solidarietà del Trentino, il Fondo di integrazione salariale, la Cassa integrazione in deroga, sappiamo bene, non sono sufficienti. Solo per il Fondo di solidarietà ci vorrebbero 30 milioni al mese, più o meno. A fronte di queste misure che, non dimentichiamo, vengono anticipate dalle aziende, la Provincia, attraverso il “Fondo ripresa Trentino” - concretizzazione di parte della legge approvata dal Consiglio provinciale il 19 marzo scorso - ha previsto un incremento del finanziamento erogato per liquidità, volta a consentire alle imprese anche di anticipare ai dipendenti gli ammortizzatori sociali in un momento in cui le entrate sono azzerate, le uscite sono, a essere fortunati, solo dilazionate (mentre alcune esigono invece comunque un pagamento) e la riserva di liquidità è limitata quando non inesistente.
In questo panorama, personalmente trovo contagiate dalla follia le ultime uscite di Grillo, secondo cui “si deve garantire a tutti i cittadini un reddito di base universale”. Ritengo siano parole irresponsabili, perché il Paese NON PUÒ sopportare a lungo neppure le attuali forme di integrazione al reddito, figuriamoci un reddito di base universale, a meno che non venga stanziato nelle cucine di Canaan, dove già una volta si ebbe una moltiplicazione delle risorse disponibili. Un conto è dare oggi soldi in mano a chi non può fare la spesa; questo è giusto. Un altro conto è pensare che il futuro appartenga ai sussidi, come sembra emergere anche da altre posizioni di sigle sindacali e di forze politiche. Invece, come ha detto Draghi, “la priorità non deve essere soltanto fornire un reddito base a coloro che hanno perso il proprio lavoro. Innanzitutto dobbiamo evitare che le persone perdano il proprio lavoro”. Si deve quindi cominciare a ragionare su come poter gradualmente tornare ad una nuova “normalità”. Certo non sarà immediatamente possibile un “libera tutti”, ma deve essere approntato un piano di aperture graduali e di ripresa delle produzioni, nella consapevolezza che non tutti riapriranno, che i decessi che si dovranno conteggiare non saranno solo quelli delle persone, ma anche di partite IVA e di piccolissimi imprenditori (speriamo non troppi), che non avranno la forza di sostenere una ripartenza. Perchè più si prolungherà il fermo e maggiore sarà il numero di quanti non riprenderanno. È necessario perciò essere lucidi e organizzare già, il più possibile, la ripartenza, con solidarietà ed unità, lasciando da parte polemiche e continui distinguo, comprendendo che la gravità economica deve ancora arrivare. In quest’ottica, trovo giusto sostenere tutti gli autonomi, dalle partite IVA a coloro che svolgono un’attività lavorativa non garantita da contratti di lavoro dipendente, in misura molto più sostanziosa rispetto a quanto stabilito fino ad ora dal Cura Italia.
E, a fronte di un continuo monitoraggio dell’andamento della situazione sanitaria, credo che il Governo centrale debba considerare con coraggio la possibilità di riaprire con proporzionalità e gradualità, già dal 14 di aprile alcuni settori produttivi, esclusi con l’ultimo DPCM. Questa decisione, con le dovute cautele, potrebbe essere salvifica anche per l’economia trentina, anche solo per il fatto che permetterebbe di ridare a qualche migliaio di lavoratori il proprio stipendio pieno e avere così ancora fondi per quelli che invece saranno ancora obbligati a stare a casa, perché le caratteristiche del loro lavoro non consentono una riapertura; penso ad esempio a tutto il settore ricreativo, nella sua accezione più estesa. In Trentino, in quest’ottica e anche in virtù della nostra Autonomia, potrebbero cominciare ad essere considerati attivabili i cantieri edili, le falegnamerie e le segherie, il settore metalmeccanico e delle carpenterie metalliche, quello delle lattonerie e della lavorazione metalli, gli impianti di betonaggio e tutte le attività collegate, le attività di commercio all’ingrosso che non hanno a che fare con il pubblico, le cave. Tutto ciò, naturalmente, con la più rigorosa applicazione delle norme di prevenzione sanitaria attualmente in vigore, impiegando tutti i dispositivi di protezione individuali necessari. Sempre nell’ottica di assumere quei comportamenti che non solo proteggono me, ma che proteggono anche chi incontro. A sostegno dell’effettiva applicazione di queste norme di sicurezza sanitaria, potrebbero entrare in gioco figure quali quelle degli ispettori del lavoro, che fanno capo alla PAT. Ipotizzare una attenta, prudente, ma graduale riapertura di alcuni settori produttivi ci consentirebbe di guardare, tutti, al futuro con un po’ meno preoccupazione e poter pensare, più convintamente, che #celafaremo.
Cons. Vanessa Masè – La Civica
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