Al 25 marzo 2020 le persone affette da COVID-19 in Provincia di Trento sono 2001 (di cui 90 guariti e dimessi), 1464 (il 73% ) curati al proprio domicilio (fra questi sono conteggiati i malati che risiedono nelle RSA), 286 (il 14%) ricoverati nei reparti per malattie infettive, 22 (l’1%) in ricoveri ad alta intensità e 65 ( il 3%) in terapia intensiva. I deceduti, fino ad oggi sono 74.
Rispetto al giorno precedente i contagiati sono 132 in più e i pazienti deceduti 18 in più. L’universo delle persone contagiate è pari allo 0,37% della popolazione dell’intera Provincia. 21 comuni trentini (12%) sono indenni da contagio ed il comune con maggior numero di contagi in rapporto alla popolazione (3,2%) è Canazei, forse dovuto al protrarsi della stagione sciistica. I dati diffusi dalla Protezione civile nazionale non coincidono con quelli diffusi dall’APSS trentina e quindi i confronti non sono possibili.
I dati sono ancora eccessivamente aggregati e parziali (quelli almeno accessibili ai cittadini) per fare bilanci, e, del resto, l’epidemia è tutt’altro che sconfitta o ridimensionata, tuttavia si possono fare alcune considerazioni, in parte basate anche su impressioni personali o informazioni parziali.
Occorre anzitutto distinguere fra operatori sanitari (personale medico, infermieristico, tecnico e amministrativo) che stanno compiendo il massimo sforzo e forse più (basti solo pensare ai turni di lavoro, in molti casi passati da 8 a 12 ore giornaliere) e adeguatezza delle strutture sanitarie. Se non ci sono posti letto, respiratori, materiale sanitario, ciò non è imputabile certamente agli operatori sanitari che spesso, proprio per queste carenze, sono esposti oltre il dovuto al rischio professionale che in qualche misura molte professioni hanno. Emergono dunque gravi carenze sul piano organizzativo della sanità trentina imputabili a decisioni (o mancate decisioni) di chi ha la responsabilità dell’organizzazione complessiva. E questo è un tema che risulterà centrale nelle valutazioni che faremo – speriamo fra non molto – a bocce ferme (o quasi).
Ciò che però deve essere risolto rapidissimamente è la situazione che riguarda le persone residenti nelle RSA. Per questi pazienti – per lo più avanti con gli anni – sembra essere precluso, di fatto, l’accesso ai posti in rianimazione, assicurando l’assistenza respiratoria ed altre cure. Non si capisce, ad esempio, perché vengano conteggiate fra le persone curate a domicilio: è vero che la RSA è l’attuale domicilio, ma costoro sono lì spesso perché i propri familiari non possono (o non sono più in grado) di occuparsene, insomma una residenza non equiparabile a quella che riguarda le altre persone.
Mi sembra di capire che chi è in casa di riposo rimane in casa di riposo e muore lì soffocato. Se è così è intollerabile. Si sta scegliendo chi va curato e chi va abbandonato. Ma chi è che lo decide? Esiste una delibera del comitato etico?
Occorre sapere chi è, o è stato, in rianimazione, con l’età di ciascuno. Da questo dato si potrà comprendere chi è stato curato. Sembra che chi ha più di 75 anni non venga portato in rianimazione.
Elias Canetti ha scritto che quando muore un vecchio muore più vita. E la vita degli anziani va tutelata allo stesso modo di quella di un giovane. La nostra civiltà nasce con Enea che lascia Troia che brucia e si porta sulle spalle il vecchio padre Anchise. Non lo lascia lì a morire.
Tanto premesso, e riservandomi di ritornare sull’argomento, interrogo il Presidente della Provincia, per sapere:
cons. Lucia Coppola Futura
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