Nel Mercoledì delle Ceneri, giorno d’inizio della Quaresima, l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi ha presieduto ieri in cattedrale la s. Messa con il rito di imposizione delle ceneri.
Il cammino di preparazione alla Pasqua si apre in un clima che don Lauro nella sua omelia definisce “surreale”. “In questi giorni – ha precisato in relazione all’emergenza coronavirus (per la quale la Diocesi di Trento ha disposto lunedì 24 febbraio alcune misure precauzionali) – sperimentiamo una volta di più la nostra condizione di fragilità e di limite. Al contempo – aggiunge l’Arcivescovo –, le paure che stiamo vivendo ci consegnano, come nutrimento indispensabile per la vita, il fatto di rimodulare i bisogni scartando il superfluo, avere cura del volto degli altri e a nostra volta essere presi in cura, ritrovare il ‘grazie’ per chi con competenza e dedizione si prende a cuore il bene della collettività”.
L’invito di monsignor Tisi alla comunità cristiana trentina, per questo tempo liturgico, è quello di “fare ‘scouting quaresimale’, cercando dentro le nostre case, i luoghi di lavoro, le stanze della fatica e del dolore la presenza delle discepole e dei discepoli della Pasqua, lacerati non dalla divisione, ma dell’irrefrenabile desiderio di soccorrere, incontrare, amare”.
Ufficio stampa Arcidiocesi di Trento
Il testo dell'Omelia
MERCOLEDÌ DELLE CENERI (26 febbraio 2020 – Cattedrale di Trento)
La narrazione prevalente di noi stessi, quasi per un riflesso istintivo, ci porta a descriverci – soprattutto attraverso le immagini social – come persone perennemente soddisfatte, che non scontano alcun limite e non hanno nemici.
L’appello dell’apostolo Paolo – “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20) – rischiamo di percepirlo come qualcosa che non ci riguarda.
In realtà, le cose non stanno affatto così. La narrazione che noi stessi contribuiamo a diffondere non è solo una notizia infondata. È il modo per estraniarci da noi stessi, impedendoci di vedere la profonde lacerazioniche ognuno di noi porta con sé.
Un uomo lacerato non sta bene, è in perenne tensione. Ciò che non è riconciliato fa male, rende la vita un sentiero ad ostacoli.
A mettere in dubbio lo stato di presunta tranquillità contribuisce in modo dirompente il clima surreale in cui si apre la Quaresima. In questi giorni sperimentiamo una volta di più la nostra condizione di fragilità e di limite. Al contempo, le paure che stiamo vivendo ci consegnano, come nutrimento indispensabile per la vita, il fatto di rimodulare i bisogni scartando il superfluo, avere cura del volto degli altri e a nostra volta essere presi in cura, ritrovare il “grazie” per chi con competenza e dedizione si prende a cuore il bene della collettività.
La madre di tutte le lacerazioni è fuor di dubbio quella con noi stessi, all’origine anche della fatica nella relazione con gli altri e con Dio. Provvidenziale a tal proposito la provocazione di Gesù ad entrare nella propria camera e pregare il Padre che è nel segreto. Con Lui puoi fare l’entusiasmante esperienza di ritrovarti guardato e amato, per poi uscire incontro all’altro, scoprendolo come il tuo bene. Fartene carico, mettendogli a disposizione te stesso, diventa un bisogno del cuore che va a concretizzare l’invito all’elemosina che oggi il Vangelo ci ha fatto.
È questo il centro focale attorno a cui far ruotare la nostra vita. Obiettivo dichiarato della raccomandazione di Gesù a digiunare con il sorriso sulle labbra.
L’itinerario quaresimale vuol portarci a celebrare il mistero della morte e risurrezione di Gesù. Celebrare equivale a frequentare la lacerazione del Calvario che, a differenza delle nostre lacerazioni, anziché sancire la morte, da duemila anni continua a generare vita e riconciliazione. Il cammino della Quaresima non si risolve in una rievocazione rituale, ma è partecipare nel “qui e oggi” della vita, grazie allo Spirito Santo, a questo evento. La storia umana ce lo continua a confermare. Mi permetto di invitare tutta la nostra comunità diocesana a fare “scouting quaresimale”, cercando dentro le nostre case, i luoghi di lavoro, le stanze della fatica e del dolore la presenza delle discepole e dei discepoli della Pasqua, lacerati non dalla divisione, ma dell’irrefrenabile desiderio di soccorrere, incontrare, amare.
Questa operazione può essere un salutare percorso per costruire comunità sane e sananti, e illuminare l’oscurità di quest’ora indicando l’alba della risurrezione.
+ arcivescovo Lauro
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