CULTURA | LIBRI E AUTORI | VALLI GIUDICARIE
É un tuffo nel passato quello che ci permette di fare il libro di Elisa Polla Li fòli dala nona cuntàdi ndài filò (Le favole della nonna raccontate nei filò). Storie e storia d’altri tempi tra fantasia e vissuto. Mestieri, famiglia, rapporti sociali, emigrazione, riti, miti e tradizioni. A scuola nella Judicaria tra localismo e globalizzazione.
Un volume, edito in collaborazione con il Centro Studi Judicaria, che ha come elemento centrale la riscoperta degli usi e costumi del passato.
Una raccolta variegata che spazia tra poesie dialettali, proverbi e ancora le favole raccontate dalle nonne nei Filò e i testi degli spettacoli promossi dal suo Gruppo.
«Una vera e propria enciclopedia - sottolinea nella sua presentazione Mario Antolini Musòn, storico, poeta e uomo di cultura - in cui il dialetto fa da filo conduttore di un secolare processo socio-storico che si è dipanato tra le contrade della Val Rendena»
Un lavoro all'interno del quale Elisa Polla, nata a Caderzone e residente a Tione in Giudicarie, ha analizzato e indagato il dialetto per farlo conoscere prima con i suoi “filò” - veri capolavori di puro dialetto e di pura socialità - e successivamente portandolo nelle scuole.
Un libro di cui parliamo con Mario Antolini Musòn, storico, poeta e uomo di cultura noto nell'ambito giudicariese e non solo.
Quali sono gli aspetti principali di questo volume?
Il principale aspetto da evidenziare è sicuramente la valorizzazione del dialetto come patrimonio da raccogliere e da mettere in serbo per debitamente investirlo e non da scialacquare; il dialetto come valore assoluto dell’umanità. Un dialetto che nasce prima di qualsiasi altra lingua, sia antica che moderna. Il possederlo ed il saperlo parlare è una ricchezza, come sono diventate un’indispensabile ricchezza ogni altra lingua cosiddetta moderna.
Penso sia importante richiamare l’attenzione anche sulle pagine riservate ai Proverbi ed ai modi dire e al Glossario: sono convinto si dovrebbe avere la pazienza di soffermarsi su ogni voce evidenziata nel dialetto e riportata in lingua italiana con tutti i minimi dettagli interpretativi. Pagine che l'autrice ha inserito nel volume quasi come semplice appendice e che, invece, diventano l’essenza stessa del già prezioso volume.
Come, poi, non esaltare il succedersi dei “filò” nella rievocazione, cioè, di uno dei più peculiari e sostanziosi usi e costumi locali che è rimasto il fondamento della nostra cultura locale.
Cultura locale e valori, giusto?
Sì, di valori sono piene zeppe le pagine che l’Autrice, in anni ed anni, ha pazientemente raccolto e che oggi mette a disposizione di chi avrà a cuore le nostre comunità, il nostro territorio, il nostro dialetto, il nostro essere e sentirci valligiani e montanari convinti e saggiamente attivi.
Il dialetto in sé è un valore e non va considerato una parlata inferiore così come la lingua nazionale non va affatto considerata una parlata superiore. I due linguaggi restano perfettamente eguali e, quindi, come si è detto sopra, da rispettare, da conoscere e da dare loro spazi diversi per poterli apprendere e da saper usare. Come si fa col tedesco, il francese, l’inglese: linguaggi a sé stanti ma non interdipendenti, bensì complementari fra loro come in un angolo retto: ognuno dei due angoli che lo compongono resta a sé stante, ma ambedue rimangono determinanti affinché il rettangolo retto tale sia e tale resti.
Un dialetto che oggi è sempre meno conosciuto...
Sì, purtroppo. Mi sta ancora sul gozzo (come si suol dire) la battaglia - dagli anni Venti agli anni Quaranta - intrapresa dalla scuola italiana - in ogni ordine e grado - contro il dialetto. Il dialetto era stato dileggiato e perfino proibito. L’avevano avvilito paragonandolo a qualcosa di quasi osceno sino da averne vergogna a parlarlo, deridendo e ammonendo coloro che lo usassero a scuola e, conseguentemente, un alcunché da abolire sostituendolo con la sola parlata della lingua italiana. Un retaggio che, purtroppo, persiste tutto nel 2020 sia nelle famiglie che nella scuola, poiché sia numerosi genitori che numerosi insegnanti non sono stati preparati (o non se ne sono curati) a saper distinguere nettamente la peculiarità dei due linguaggi dall’identico valore: ambedue linguaggi da conoscere, da salvaguardare e da tramandare secondo gli intrinseci valori letterari insiti in ciascuno e senza nessuno dei due avesse a prevalere a danno dell’altro.
Qualche ulteriore considerazione?
Sì, che non si tratta di un romanzo che si debba leggere pagina dopo pagina per seguirne la trama: qui ogni pagina ha un suo preciso contenuto, una sua piacevole lettura, anche in sole poche righe, anche in una sola parola. Il reale “di più” sta soltanto in queste quanto mai preziose 456 pagine che l’Autrice ha generosamente donato alla sua gente ed a tutte le popolazioni dei nostri paesi ed alla cultura giudicariese e non solo, quale patrimonio linguistico di incalcolabile valore.
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