Dal 2015 è stato introdotto in APSS un percorso clinico per interventi di artroprotesi di anca o ginocchio secondo il metodo Fast Track, che adotta una logica di sistema e un approccio multisciplinare, basato sulle migliori prove di efficacia, che coinvolge i medici di medicina generale, gli ortopedici, anestesisti, internisti, fisiatri, fisioterapisti, infermieri, OSS.
Dal punto di vista temporale il percorso è articolato in fase preoperatoria, ricovero presso il reparto di Ortopedia, la riabilitazione e la fase di follow up.
La destinazione della dimissione prevalente è il domicilio del paziente con un percorso ambulatoriale precoce, e viene prescritta la degenza riabilitativa solo per i pazienti che presentino comorbilità neuromotorie associate, funzioni cognitive che non permettono di sostenere un percorso di autogestione a domicilio oppure presentino criticità socio-assistenziali che giustifichino la scelta di un percorso in regime di degenza piuttosto che ambulatoriale.
Per la riabilitazione in regime ambulatoriale si prevede un ciclo di dieci sedute della durata dai 40 ai 45 minuti distribuiti in un arco temporale di 3-4 settimane, con possibilità di prosecuzione in caso di non raggiungimento degli obiettivi di recupero.
Apparentemente tutto bene nell’insieme, se non fosse che come da una segnalazione giunta alla scrivente, nella pratica cambia la sostanza.
Una persona è entrata nel percorso clinico Fast Track per un intervento di protesi all’anca presso l’ospedale di Rovereto.
La degenza prevista è di cinque giorni durante i quali viene iniziata la fisioterapia in corsia.
Già dal giorno dopo l’operazione è prevista la verticalizzazione e deambulazione con deambulatore in stanza con a fianco il fisioterapista. Il caso vuole che se si viene operati, come il paziente sopra citato, di venerdì, il sabato e la domenica non ci sono i fisioterapisti presenti e quindi su cinque giorni se ne perdono due di fisioterapia.
Dopo le dimissioni dall’ospedale è stato valutato di rimandare il paziente a domicilio, prevedendo il proseguimento della riabilitazione in ambulatorio.
Da prassi il paziente viene dimesso in presenza di condizioni cliniche compatibili con la dimissione a domicilio ed il raggiungimento di obiettivi riabilitativi minimi tra i quali l’indipendenza dei trasferimenti e la capacità di effettuare le scale in salita e in discesa
Ora il presente paziente vive solo, in una casa al terzo piano senza ascensore ed evidentemente non può guidare la macchina. Ha richiesto una degenza prolungata che non gli è stata concessa perché si è ritenuto avesse recuperato le proprie condizioni funzionali. Ha domandato di accedere alla degenza presso l’Eremo di Arco, ma non erano a disposizione posti letto in regime convenzionale ma guarda caso solo a pagamento, in pochi giorni, alla cifra di 262 euro al giorno.
Eremo dispone di 167 posti letto autorizzati dei quali 145 accreditati per la degenza più 8 per il Day Hospital. I restanti posti letto sono a disposizione dei clienti che richiedono espressamente un ricovero privato, a pagamento. Per posti letto accreditati s’intendono quelli convenzionati il cui costo è a carico del Sistema Sanitario Provinciale e Nazionale, come in tutti gli ospedali pubblici.
Una prassi ormai tristemente consolidata anche nel virtuoso Trentino: paghi e il posto c’è in pochi giorni altrimenti ti devi arrangiare.
In pratica il paziente è stato “scaricato” dall’Azienda che ha caricato sul paziente stesso l’onere di organizzarsi e districarsi tra le criticità che comporta il vivere solo, in un appartamento non a piano terra e senza possibilità di raggiungere autonomamente l’ambulatorio per la riabilitazione.
Evidentemente il sistema Fast Track, che dovrebbe considerare tutti gli aspetti della persona (clinici, assistenziali sociali e caratteriali) e le sue necessità durante tutto il percorso assistenziale, nell’attuazione contraddice a tale missione. Non è possibile considerare solo le condizioni funzionali del paziente ma lo stesso deve essere considerato nel suo complesso, con le criticità che ogni persona porta con sé.
Un’altra nota dolente riguarda il percorso di fisioterapia dopo un intervento. Il numero di coloro che hanno bisogno di queste cure è alto, le persone devono attendere molto per avere un appuntamento. I fisioterapisti fanno quello che possono. Mi è stato segnalato che, quando un fisioterapista si ammala, non vi è un sostituto e il paziente deve attendere il rientro del proprio fisioterapista di riferimento. La paziente in questione era in riabilitazione dopo una grave frattura. Il fisioterapista si è ammalato e la terapia ha subito un salto temporale di diversi giorni. Le interruzioni delle terapie fisiche sono critiche in una fase di riabilitazione. Anche in questo caso la signora si è quindi rivolta al privato. Tanto per cambiare.
Questa necessità di rivolgersi al privato per sopperire alle carenze del pubblico è uno dei nodi più dolenti della sanità.
Tutto ciò premesso si interroga il presidente della Provincia e l’assessora competente per sapere:
LUCIA COPPOLA
consigliera provinciale FUTURA
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