CULTURA | STORIA | TRENTO
Ogni epoca ha i suoi "cambiamenti" e le sue piccole o grandi rivoluzioni sociali...
Per quanto riguarda il '900 è possibile identificare questo "periodo" nel biennio del 1968-69.
Dai più viene infatti considerato come l’inizio di una frattura storica del secondo Novecento. Sono infatti gli anni in cui, per quanto riguarda la vita sociale e culturale di molti Paesi europei, si sono imposte una serie di novità che hanno di fatto cambiato lo stile di vita delle masse e, contemporaneamente, hanno abbattuto molte barriere.
Un periodo di scontri che attraversarono tutto lo stivale e raggiunsero anche il Trentino ed in particolare la città di Trento.
Da allora sono passati 50 anni, ma cosa successe esattamente? Ne parliamo con il professor Armando Vadagnini che visse quegli anni da attento osservatore e che su quel periodo scrisse anche un libro, che rappresenta un primo momento di riflessione e di analisi di quei fenomeni storici sull'Autunno caldo del '69 e quel 29 ottobre....
Partiamo dal contesto di quegli anni... come si arrivò a questo, se così si può definire, "strappo"?
Devo dire subito che il ’68 non arrivò all’improvviso. C’erano già stati negli anni precedenti fatti significativi, segni premonitori della volontà di rompere con il passato. La guerra era finita da più di vent’anni e negli anni Sessanta si viveva nel clima del boom economico. Eppure soprattutto molti giovani stavano comprendendo che molte cose non andavano bene: nella famiglia, nella scuola, nelle fabbriche, nella Chiesa e soprattutto sul piano internazionale, dove non aveva fine la orrenda guerra del Vietnam, il dissenso in Urss continuava ed essere soffocato, nella Grecia i colonnelli nell’aprile 1967 avevano preso il potere e via di questo passo.
Si chiedeva insomma maggiore libertà.
In tutti i gangli della vita sociale citati sopra. Libertà oltre a emancipazione dalle regole e dagli schemi tradizionali e poi anche partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica e sociale. Ricordiamo la canzone di Giorgio Gaber che si concludeva con lo slogan “libertà è partecipazione”.
Quando cominciò la protesta?
Alla fine del ’67, quando furono occupate le università di Milano e di Torino. La protesta era partita all’inizio dall’università, ma poi si allargò anche alle scuole superiori e ad altre categorie sociali. Gli studenti manifestavano contro la legge universitaria 2314 del ministro Luigi Gui (circolava lo slogan ironico “siamo in un mare di gui”!), ma poi si arrivò alla contestazione di tutta la società occidentale borghese e capitalista, come continuavano a ripetere i numerosi volantini e documenti diffusi dal Movimento studentesco e dalle altre sigle rivoluzionarie. Sì, perché l’obiettivo ultimo per una parte di studenti era proprio quello di rivoluzionare la società. Ecco quindi le occupazioni delle università, i fiumi di cortei nelle strade cittadine, l’occupazione di Villa Giulia a Roma e lo scontro con la polizia. Come ha scritto un giornalista, “cominciava a diventare mentalità comune, l’aspettativa furente, di tipo quasi millenaristico, di uno sbocco rivoluzionario” della protesta.
A Trento ci furono episodi clamorosi?
Prima l’occupazione della Facoltà di Sociologia alla fine di gennaio; poi il cosiddetto controquaresimale (26 marzo), quando uno studente interruppe in maniera decisa la predica di un frate che aveva accennato al discorso del cardinale americano Francis Spellman favorevole alla guerra del Vietnam. A seguito di quell’episodio nei giorni seguenti, dopo la funzione della Quaresima, un folto gruppo di giovani si radunavano davanti al portale di ingresso del Duomo per leggere brani di autori anticonformisti e critici nei confronti della Chiesa, mentre molti trentini stavano un po’ lontani a guardare, piuttosto perplessi, finché un giorno, stanchi di quella manifestazione, si riversarono minacciosi davanti a Sociologia occupata. Si verificarono dei tafferugli, provocazioni da parte degli studenti che cantarono in maniera volutamente stonata “La Montanara”, quasi per farsi beffe dei trentini.
Come andò a finire?
Che nella vicina piazza del Duomo, da quella sera e per vari giorni, si radunò una folla numerosa di trentini, di studenti, di uomini e di donne che in vari gruppi discutevano dei fatti accaduti, allargando il discorso però anche ai problemi più grandi di tutta la società: Vietnam, Concilio Vaticano e crisi della Chiesa, situazione di sfruttamento nelle fabbriche, lotta nonviolenta di Martin Luther King in America ecc. Mi ricordo molto bene di quei dialoghi, per lo più pacifici anche se vivaci, che andavano avanti per delle ore, mentre una luna piena – eravamo prossimi alla Pasqua – si stagliava dietro il Castelletto del Duomo. Per me quelli furono i momenti più belli del ’68.
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A proposito della situazione nelle fabbriche, come si comportarono i lavoratori e i sindacati?
Tra gli studenti che manifestavano c’erano ovviamente molti operai e qualche sindacalista. Ma all’inizio della contestazione in genere gli operai non erano molto solidali con gli studenti, non si creò insomma un feeling tra loro. Gli operai avevano capito che quelli, in gran parte, erano “figli di papà”, lontani dal proprio mondo fatto di fatica e di sacrificio. L’alleanza, chiamiamola così, tra studenti e operai si realizzò l’anno dopo, nel ’69. Penso che il primo episodio significativo, a Trento, sia stato l’assedio all’UPIM, in via Manci, considerato come una struttura del capitalismo. Stavano partendo i primi licenziamenti e allora gli studenti aiutarono gli operai nel picchettaggio e nella lotta contro la polizia che voleva far sgomberare la via e disperdere i manifestanti. La lotta degli studenti, insomma, si era “rovesciata sulla città”, come informava in maniera trionfale un loro volantino.
Questa alleanza andò avanti ancora per molto tempo?
Vi furono manifestazioni unitarie di solidarietà per i fatti di Avola e di Battipaglia (aprile), due paesi del Meridione dove la polizia aveva caricato violentemente gli operai in sciopero, provocando anche dei morti. Ma i mesi più “caldi” furono quelli dell’autunno, quando scioperi, picchettaggi, cortei cittadini, occupazioni delle fabbriche, sit-in nelle piazze erano all’ordine del giorno. Ricordo il discorso di Mauro Rostagno – il leader studentesco più ascoltato dagli operai – che davanti a una Piazza Dante strapiena di operai in sciopero, salì sul primo cornicione del monumento e col megafono in mano arringò i presenti, dicendo tra l’altro: “Quando andate in bagno e vedete che la vostra pipì è rossa, allora rendetevi conto che quello è perché il padrone vi sfrutta”. Mi trovavo in mezzo alla folla e vedevo che gli occhi di molti operai, anche anziani, luccicavano.
Era l’”autunno caldo” di cinquant’anni fa…
I sindacati agirono determinati con scioperi che non rivendicavano soltanto aumenti di salario, ma che guardavano anche alle condizioni di vita della gente. Ad esempio il grande sciopero del 29 ottobre 1969 aveva come oggetto di contestazione l’aumento dei prezzi (l’inflazione aveva raggiunto la doppia cifra!), l’affitto esagerato delle case, l’aumento dei biglietti dei trasporti, la malandata assistenza sanitaria e l’aumento delle tasse. Sono temi che interessavano tutta la società, non soltanto gli operai. Però proprio in quella circostanza si manifestarono le prime insofferenze degli operai delle fabbriche nei confronti della Triplice sindacale, accusata di frenare le lotte della base operaia. Su questa linea erano anche alcuni dirigenti del Pci, che dopo il XII Congresso di Bologna, furono espulsi dal partito e fondarono il gruppo del Manifesto, con il loro giornale (novembre 1969).
In quell’autunno caldo non ci furono reazioni da parte degli imprenditori?
Certamente sui giornali si erano lamentati con fermezza per il notevole calo della produzione (8%), dovuto agli scioperi. Ma la reazione più inquietante venne dai movimenti politici di destra, che iniziarono a organizzarsi, con la diffusione di manifesti e la formazione di gruppi politici, come la “Giovane Italia”, che invitava tutti a unirsi per una “rivoluzione nazionale”. Ma l’episodio più tragico da inserire in questo clima fu la strage di Piazza Fontana a Milano, avvenuta il 12 dicembre, dove nella Banca dell’Agricoltura esplose una bomba che fece 16 morti e 90 feriti. Era iniziato un periodo storico molto pericoloso per la democrazia italiana.
Per chi vuole approfondire l’argomento, mi permetto di consigliare il mio libro "Trento città del ’68", Reverdito ed.
*Credits foto
Piazza del Duomo, con la fontana del Nettuno e la facciata settentrionale della cattedrale di San Vigilio
Data 17 agosto 2009
Fonte Opera propria
Autore Matteo Ianeselli
Attribuzione © Matteo Ianeselli / Wikimedia Commons / CC-BY-3.0& GFDL
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