Uno studio dimostra che agire come se si fosse all'interno del robot può farlo sentire più vicino e amico. Il lavoro, pubblicato da Scientific Reports, vede tra gli autori Francesco Pavani dell’Università di Trento. La ricerca dà un contributo per migliorare il rapporto con la tecnologia
Mettersi nei panni di una persona, aiuta a comprenderla in profondità, la fa sentire più vicina, contribuisce a rimuovere diffidenze e pregiudizi. Ciò accade anche quando l’altro è un robot. A dare un riscontro sperimentale a questa dinamica interpersonale è uno studio, pubblicato in questi giorni dalla rivista Scientific Reports. La ricerca è frutto di una collaborazione scientifica italo-francese.
Francesco Pavani, professore di Psicologia del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) e del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento, è tra gli autori e spiega: «Abbiamo dimostrato come teletrasportando un partecipante dentro un robot è possibile modificare il suo atteggiamento verso il robot».
Pavani chiarisce in che modo una persona può mettersi nei panni di un robot: «Il teletrasporto consisteva nel dare l'illusione al partecipante di guardare la realtà attraverso gli occhi del robot, muovere la testa del robot come fosse la propria e vedersi in uno specchio come un robot».
La conseguenza è che l’essere umano considera poi il robot una presenza più vicina a sé: «Rispetto a condizioni in cui la persona non può muovere la testa del robot, o non può farlo in maniera coordinata con i propri movimenti, l'esito del mettersi nei panni del robot è che alla fine il partecipante lo giudica più amichevole, lo percepisce socialmente più vicino».
Lo studio dà un contributo per migliorare il rapporto con la tecnologia e far cadere paure e resistenze verso i robot. Pavani sottolinea: «Tutto questo è rilevante perché uno dei problemi della scienza dei robot è come renderli accettabili agli utenti umani. Penso in particolare ai dispositivi automatizzati destinati a supportare sempre di più le persone nella loro vita, ad esempio nei casi di ridotta sicurezza e capacità di camminare. Nella nostra ricerca mostriamo che la semplice pratica di agire brevemente come se si fosse all'interno del robot, può renderne più facile l’approccio e l’accettazione».
Lo studio
L’articolo, dal titolo “Embodiment into a robot increases its acceptability”, è stato pubblicato da “Scientific Reports” il 12 luglio 2019 ed è disponibile in open access: https://rdcu.be/bJYYJ
È stato scritto da Jocelyne Ventre-Dominey (University of Bourgogne) e da Francesco Pavani (Università di Trento) assieme ad Alessandro Farnè (IMPACT lab del Centre de Recherche en Neurosciences de Lyon), Guillaume Gibert, Marielle Bosse-Platiere e Peter Ford Dominey (Stem Cell and Brain Research Institute, Bron).
(e.b.) Ufficio Stampa – Rettorato | Università degli Studi di Trento
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