Per il secondo anno, il 22 giugno 2019 al Rifugio Altissimo “Damiano Chiesa” si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato in compagnia di SAT, Centro Astalli Trento, Atas onlus e CNCA Trentino Alto Adige grazie al contributo dello SPRAR. Amanti della montagna, richiedenti asilo, satini, volontari, rifugiati, cittadini in cerca di frescura, montanari trentini o vacanzieri si mescoleranno in questa gita dal rif. Graziani (Brentonico - loc. S.Giacomo si prosegue verso S. Valentino di Brentonico) allo spettacolo panoramico attorno al rifugio Altissimo - “Damiano Chiesa”.
La presentazione dell'iniziativa è avvenuta durante la conferenza stampa odierna alla quale hanno partecipato Roberto Bertoldi vicepresidente SAT, Stefano Canestrini del Centro Astalli, Danilo Fenner neo presidente Atas Onlus, Claudio Bassetti past president SAT attualmente presidente CNCA Trentino Alto Adige, Andrea Cagol di Cinformi.
"Dopo il pranzo offerto a circa 35 richiedenti asilo e rifugiati, - hanno spiegato i relatori - verrà presentato il libro della giovane rifugiata Joy Ehikioya, “Certi sogni possono non avverarsi mai”, e assisteremo ad uno spettacolo di letture e canti sui “giusti della montagna” con Gli Armonici Cantori Solandri diretti da Fausto Ceschi.
L’iniziativa è parte di “Camminando”, una rassegna di otto eventi sparsi nel territorio trentino: in un mondo dove ogni giorno guerra e violenze costringono migliaia di persone ad abbandonare la propria casa, vale la pena essere comunità a fianco dei rifugiati. Celebriamo la loro perseveranza, scopriamo che la loro storia ci riguarda e camminiamo insieme!
La montagna dei giusti di Angela Tognolini Centro Astalli Trento
La montagna è aspra, inospitale, un luogo non adatto all’uomo. L’uomo si è installato sui suoi fianchi, nelle sue valli scavate dai fiumi, sulle sue compagini più piccole e fertili, sugli altipiani. Ha tagliato i suoi boschi per scaldarsi, ha portato le sue bestie a pascolarci, ha coltivato i suoi versanti dolci, ha terrazzato le propagini più erte. Ha salito le cime.
La montagna è un mondo inospitale. Soffia il vento, la neve scricchiola sotto i passi, rombano le valanghe. Gli uomini delle montagne hanno fama di essere inospitali e freddi come le loro vette. Chiusi come portoni chiusi. Difficili da interpretare e prevedere. Ma questo non è vero. Quello che è vero, almeno un poco, è che gli uomini che camminano sulle montagne da boscaioli, rischiano di diventare bosco. Da zappaterra, terra. Da montanari, montagne. Si abituano al rumore di nessun rumore intorno. Si abituano a nessuno intorno.
Eppure, d’altra parte, quando nessuno è intorno e poi qualcuno arriva, questo qualcuno diventa importante. Sulla neve, le impronte umane si vedono bene. Sopra la cima, si vede per chilometri. In passato, nel presente, tanti uomini e donne di montagna hanno visto quello che stava succedendo intorno. Hanno visto persone che arrivavano e non gli è sembrato cosa da poco. Abituati a non avere intorno niente, i montanari danno importanza alla gente.
È così che hanno dato importanza alle persone che salivano sulle montagne, anche se quelle persone non erano montanari. Hanno istituito i servizi di soccorso, hanno rischiato la vita per salvare chi si perdeva e chi era in pericolo. E quando un tipo molto particolare di gente ha cominciato a salire sulle montagne, hanno dato importanza anche a loro. Questo tipo particolare di gente erano i profughi.
Negli anni passati, la montagna ha protetto in parte i suoi abitanti dalle guerre e dagli avvenimenti del mondo. Ma è capitato che anche loro si trovassero in mezzo a quegli avvenimenti, quando persone in fuga hanno cominciato a salire le loro montagne. I montanari hanno visto le persone in fuga e non hanno chiuso gli occhi né i portoni. Non sono stati inospitali. Al contrario, hanno aperto le loro case e teso le loro mani.
Li hanno chiamati i giusti della montagna, eroi e coraggiosi. Però li hanno chiamati anche disertori, traditori della patria, criminali e trafficanti di uomini. Tutto cambia in base a chi li chiama. Oggi, sta a noi decidere quale nome dargli. Tanto, agli uomini di montagna i nomi importano poco.
Di sicuro, importano niente alla montagna.
Diamo un nome ad Adamello Collini, guida di Pinzolo e proprietario di un rifugio in Val Genova. Negli anni della guerra accompagnò oltre al passo del Tonale, verso la Svizzera, decine e decine di partigiani, profughi, aviatori inglesi e americani, per salvarli dai soldati tedeschi e dai repubblichini. Adamello sapeva passare quella montagna, quelle persone dovevano passare la montagna per salvarsi la vita. Quindi Adamello li accompagnava. Non sappiamo se avesse paura, se fosse fiero di stare facendo la cosa giusta. Quello che sappiamo è che, scoperto dalle SS naziste, fu catturato e portato via dalla sua montagna. Morì nel campo di sterminio di Mauthausen, nel febbraio del 1945, molto lontano da casa.
Insieme a lui, possiamo cercare un nome per Ettore Castiglioni, un grande alpinista italiano insieme al fratello Bruno. Dopo l’armistizio del 1943, si installò con altri partigiani sull'Alpe Berio, creando un gruppo di combattenti della montagna e persino una Repubblica. Da lì, portò un centinaio di antifascisti ed ebrei perseguitati verso la salvezza in Svizzera. Tra loro c’era anche Luigi Einaudi, che diventerà il primo Presidente eletto della Repubblica, quella che scegliemmo come italiani due anni più tardi. Nel marzo del 1944, però, Ettore fu arrestato dalla polizia svizzera. Lo spogliarono degli abiti e gli tolsero gli sci. Sapevano che un uomo come lui non resta dentro una stanza a lungo. Ettore fece una corda legando le lenzuola e si calò dalla finestra. Arrivato a un paese, recuperò un paio di sci di legno e una coperta da tenere sulle spalle. Puntò gli sci verso la vetta e partì per la montagna. Fu ritrovato mesi dopo, morto per assideramento.
Che nome possiamo dare a tutti quelli di cui non sappiamo un nome? A tutti gli uomini e le donne che hanno aiutato i profughi kosovari a sfuggire ai serbi oltre alle montagne, durante la guerra civile jugoslava? I bambini avevano bisogno di una ciotola di zuppa, e c’è stato chi gliene ha porta una senza chiedergli che lingua parlassero e di quale popolo facessero parte.
Che nome diamo a coloro che hanno guidato le famiglie afghane in fuga dai taliban lungo le vie gelate della catena dell’Hindu-Kush? Le montagne sono alte, laggiù. La gente, dura. Eppure c’era bisogno di sapere la strada, e c’è chi l’ha indicata senza chiedere denaro, né fare domande.
Come chiameremo tutti quelli che hanno dato qualcosa da mangiare ai profughi siriani con i bambini legati sulla schiena, sui passi dell’Anti-Libano? Le donne erano sole, gli uomini erano andati avanti, e le famiglie laggiù sono numerose. Con due bambini legati addosso e tre che seguono, camminare lungo una cengia di notte, fa paura. Tra i tanti che volevano essere pagati anche solo per un’indicazione, c’è chi ha sorretto una torcia e sussurrato per loro una preghiera.
Quale appellativo per chi ha aiutato i cristiani yazidi a fuggire dalle milizie dello Stato Islamico oltre le vette dei monti Sinjar, nel nord dell'Iraq? Dopo la conquista della città, i miliziani hanno ucciso centinaia di uomini, donne e bambini gustiziandoli sul posto, o gettandoli vivi dentro alle fosse comuni. Altre migliaia sono fuggite attraverso i corridoi tra le rocce, protetti dai fucili dei guerriglieri curdi che gli hanno fatto da scudo. Quando le montagne diventano tombe, c’è bisogno dell’aiuto dei montanari per fuggirne.
C’è bisogno dell’aiuto dei montanari, per passare i confini chiusi dei paesi europei. Per raggiungere i propri famigliari in Francia, i giovani eritrei e sudanesi attraversano le terre alte della frontiera italo-francese anche d’inverno. Sotto i vestiti leggeri, la carne e i piedi nudi gelano facilmente. Cédric Herrou, agricoltore di Breil-sur-Roya, se l’è dato da solo un nome, quando ha piantato quattro tende nella sua proprietà per ospitare una notte i migranti in transito. Ha detto ai giornali che per quanto possano continuare ad arrestarlo, non ha intenzione di chiedere un documento ad un ragazzino, prima di tendergli una mano nella neve.
C’era bisogno di Benoit Duclos, guida alpina francese, quella notte in cui ha incontrato una famiglia migrante persa nel bosco. C’era bisogno di lui per caricare la donna sul furgone e portarla in ospedale, perché stava per partorire. La polizia che l’ha fermato al confine l’ha chiamato fuorilegge. Lui li ha supplicati di farlo proseguire, perché le doglie erano sempre più forti.
Il nome che hanno queste persone è molto semplice. Sono uomini, vivono in montagna. Da boscaioli, rischiano di diventare bosco. Da zappaterra, a terra. Eppure lassù, dove fischia un vento freddo, hanno imparato anche che i forestieri rischiano di diventare foresta. E che là, dove la vita è sempre un po’ in pericolo, la vita è la cosa più importante. Tanto lontani da tutto, in mezzo al niente, sanno che siamo tutti quanti poi la stessa gente. Gente che ha la pelle fragile, si spezza con il freddo, che ha fame e bisogno di un tetto e un muro, per dormire. Gente che non fischia come il vento, non si scioglie come la neve, non taglia come l’accetta. Gente che va protetta.
Possa il loro esempio scendere a valle, e contagiarci un poco di buon senso. Possa il loro ricordo farci alzare lo sguardo alla cima, e darci un po’ di coraggio. Possa la loro montagna renderci tutti più giusti.
Ufficio Stampa e Comunicazione SAT Società degli Alpinisti Tridentini - Elena Baiugera Beltrami
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