Per molte persone, soprattutto per quelle occupate nei settori più colpiti dal lockdown, la pandemia da Covid-19 si è tradotta anche in riduzione o perdita del lavoro.
Per approfondire quale sia stato l’impatto delle chiusure sulle famiglie italiane, alcune studiose del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento hanno condotto uno studio sui dati Istat, che ha portato a capire chi sia stato colpito di più dalla pandemia.
Agnese Vitali, professoressa di demografia all’Università di Trento, spiega: «A differenza di quanto osservato in altri paesi come gli Stati Uniti, in Italia l’occupazione femminile non è diminuita sproporzionatamente rispetto a quella maschile. I dati Istat mostrano che il calo occupazionale tra le donne è stato solo leggermente superiore a quello osservato per gli uomini, e che è quasi interamente dovuto al fatto che le donne lavorano più spesso con contratti a tempo determinato. Il personale a tempo indeterminato, composto soprattutto da uomini, è stato maggiormente tutelato dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa integrazione».
Le ricercatrici hanno deciso di analizzare la situazione da una prospettiva di coppia, per capire come sono cambiate le dinamiche lavorative e le entrate economiche di mamme e papà con figli/e non ancora indipendenti (under-16). «Abbiamo suddiviso le coppie in base alle ore effettivamente lavorate dai due partner nella settimana di riferimento, distinguendo tra quelle in cui entrambi i partner lavorano un numero simile di ore, quelle in cui lavora di più lui, o solo lui, quelle in cui lavora di più lei, o solo lei, e quelle in cui nessun genitore lavora. Usare le ore lavorate invece che lo stato occupazionale è importante perché durante una pandemia essere occupato ma in cassa integrazione implica un minore guadagno rispetto allo stipendio usuale. Quindi abbiamo confrontato i dati del 2020 con quelli del 2019, nei vari trimestri».
I risultati mostrano che la percentuale di coppie con figli/e under-16 in cui nessuno dei genitori ha svolto delle ore di lavoro nella settimana di riferimento (ad esempio perché entrambi cassintegrati) è aumentata drasticamente nel primo, nel secondo e nell’ultimo trimestre del 2020 rispetto al 2019, soprattutto tra i meno istruiti. Dall’analisi è emerso anche un risultato inatteso. «Nei mesi del primo lockdown si è osservato un aumento delle coppie in cui solo la donna lavorava» spiega Vitali. Il risultato è inaspettato perché, nel paese europeo con la più bassa occupazione femminile, ci si sarebbe potuti aspettare che la chiusura delle scuole spingesse le mamme a lasciare il lavoro per occuparsi dei figli e delle figlie a casa.
«Questi dati suggeriscono che l’occupazione delle donne ha contribuito a difendere le famiglie dalle perdite di reddito» conclude la ricercatrice. «Qualcosa di molto simile era successo durante la recessione del 2008. Il risultato ci dà poi una speranza per il futuro, ovvero che lo shock indotto dalla pandemia possa rappresentare un’opportunità per migliorare l’uguaglianza di genere in Italia a partire da politiche pubbliche e strategie industriali mirate ad aumentare la troppo bassa occupazione femminile».
L’articolo
Lo studio, intitolato "Re-traditionalisation? Work patterns of families with children during the pandemic in Italy", vede come prima autrice Elisa Brini (assegnista di ricerca a UniTrento al tempo della ricerca, adesso ricercatrice all'Università di Oslo). Le altre autrici sono la professoressa Agnese Vitali (ideatrice del progetto), la studentessa Mariya Lenko e la professoressa Stefani Scherer del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale di UniTrento.
Il contributo delle studiose è stato pubblicato oggi, 14 ottobre 2021, sulla rivista “Demographic Research” ed è disponibile in open access su:
https://www.demographic-research.org/volumes/vol45/31/
(e.b.) Ufficio stampa Università di Trento
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