Dagli allievi delle classi 5°A e 5°B del CFP ENAIP di Villazzano, seguito dei fatti accaduti nell’ultima settimana, un lavoro di profonda analisi e riflessione condotta in classe, scegliendo di ispirarsi al format pasoliniano.
I fatti che hanno coinvolto noi ragazzi dell’Enaip di Villazzano nell’ultima settimana sono noti a tutti purtroppo. Nessuno invece conosce il nostro sconforto, la nostra frustrazione rispetto allo svilimento del nostro lavoro e delle nostre progettualità professionali, e per molti aspetti anche esistenziali.
Noi ragazzi di quinta siamo più grandi e maturi e abbiamo più strumenti di analisi. Questo sconforto e questa maggior consapevolezza ci hanno portato a riflettere e a dialogare con fervore su quanto accaduto nelle lezioni destinate all’educazione alla cittadinanza.
Il lavoro che segue e che ha la forma di un quasi-manifesto è il risultato della nostra riflessione condivisa, guidata e raccolta in forma scritta dalla nostra insegnante di lingua e letteratura italiana con la quale abbiamo deciso di scegliere il format pasoliniano dell’io so.
Se quello di Pasolini era di fatto un atto di accusa, il nostro vuole più somigliare ad un gesto a difesa del nostro valore e dei nostri meriti.
Joseph, Alessandro, Dardan, Andrea, Matteo, Riccardo, Michele, Daniel, Karin, Patrick, Francesco, Henry Patricio, Riccardo, Simone, Youssef, Stefano, Marco, Nick Steven, Nicola, Nicholas, Samuele, Murik, Luca, Daniele, Johan Josuè, Betim, Daniele.
Gli studenti delle classi 5°A e 5°B CAPES “Manutenzione e assistenza tecnica” del CFP ENAIP di Villazzano.
Noi sappiamo.
Noi sappiamo che la violenza non può mai dirsi risolutiva e che quando la si sceglie se ne chiama sempre più, come in un gorgo, in una spirale.
Noi sappiamo che chi usa violenza, fosse anche per una causa condivisibile, passa sistematicamente dalla parte del torto; noi sappiamo al contempo che i più piccoli e inesperti fra noi sono spesso fortemente tentati dalla risoluzione spiccia e che in questo devono essere aiutati.
Noi sappiamo che il bullismo non è solo una perversione dei rapporti umani, ma anche una corruzione dell’anima del carnefice che mina alle fondamenta la sua stessa dignità. Il bullo prima lo isoli e poi lo recuperi.
Noi sappiamo che i pregiudizi nascondono pensieri facili e preconfezionati e che le etichette ci consentono di dare un nome alle cose anche quando fatichiamo a orientarci.
Noi sappiamo che questa morale tascabile, standardizzata è molto rassicurante e che è spesso frutto delle nostre paure e delle nostre pigrizie; che “fare di tutta un’erba un fascio” permette di riordinare il buono col buono e il cattivo col cattivo chiudendo gli occhi all’ambiguità e alla promiscuità dei sentimenti aprendo invece ad una realtà semplificata.
Noi sappiamo che la scuola, come la società, è una grande comunità incentrata sul principio di solidarietà e che quando qualcuno sbaglia è necessario mitigare il rigore con la comprensione e l’empatia: chi di noi è senza peccato scagli la prima pietra! E noi sappiamo che la scuola è di fatto una enorme opera di semina i cui frutti un giorno ci saranno chiari: chi oggi accoglie la nostra fragilità e il nostro lato oscuro domani vedrà come noi sapremo accogliere quello degli altri.
Noi sappiamo imparare prevalentemente con l’esempio.
Noi sappiamo che buona parte della nostra vita oggi si gioca nel virtuale ma che il virtuale non può essere pienamente autentico.
Noi sappiamo che dietro scelte, parole e pensieri si nascondono, a monte, emozioni non per forza strettamente ad essi collegate e che queste condizionano i contenuti e i modi del nostro comunicare.
Noi sappiamo che questo mondo molto social si compone in fondo di tanti incompresi monologhi. E sappiamo purtroppo come certo protagonismo emotivo non possa che fornire solo un parziale punto di vista.
Noi sappiamo che il giornalismo tollera spesso di adeguare la sua cronaca a un resoconto passionale e ad effetto e che accetta di buon grado di seguire le piste battute dai social trasformando in tal modo il fatto nell’interpretazione del fatto.
Noi sappiamo al contempo che siamo in fondo noi stessi a concedere il benestare a questo tipo di giornalismo e che quindi potrebbe, allo stesso tempo, spettare a noi chiederne il cambiamento.
Noi sappiamo che la politica ama appropriarsi del palcoscenico, soprattutto in funzione elettorale e che non ha remore a farlo, nemmeno quando il suo scalpitare comporta il maneggiare fatti e persone di cui ha solo una vaghissima idea.
Noi sappiamo tutto questo e molto altro e ne abbiamo avuto la prova schiacciante nell’ultima settimana trascorsa a leggere di noi.
Noi sappiamo, perché siamo ragazzi che pensano e perché tutto quanto ci accade, a scuola e fuori, è per noi materia di riflessione e studio.
Tutto ciò fa parte del mestiere che faremo e delle sue modalità: lavoriamo in team e in gruppo elaboriamo quanto ci accade, nella convinzione che il pensiero più vicino al vero è quello aperto alla condivisione reale e alla sincerità delle intenzioni.
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