L’opposizione chiede le dimissioni del segretario questore Savoi, vincolando a esse la sua partecipazione al voto.
In apertura della seduta di oggi del Consiglio regionale, il presidente Roberto Paccher ha ricordato Tarcisio Grandi, consigliere regionale dal 1988 al 2003 e presidente della Giunta regionale dal 1994 al 1999. L’aula ha quindi osservato un minuto di silenzio.
La seduta è stata poi interrotta per 30 minuti per una riunione delle minoranze, dopodiché è stata aperta la procedura per l’elezione della/del Presidente e delle/dei Vicepresidenti del Consiglio regionale, ai sensi dell’articolo 30 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.
Gerard Lanz (SVP) ha ringraziato il pres. Paccher per la collaborazione e la guida professionale dell’aula, in particolare durante il difficile periodo della pandemia. Ha quindi proposto come presidente Josef Noggler, sottolineando la lunga esperienza in diverse funzioni e, negli ultimi 2 anni e mezzo, quale vicepresidente.
Brigitte Foppa (Gruppo Verde), confermando la stima per Noggler, ha però voluto ricordare che gran parte della minoranza aveva espresso disaccordo per la permanenza nell'Ufficio di presidenza del consigliere Savoi, “per le note esternazioni”. Le parole da lui usate non erano giustificabili in quanto rappresentante “di tutte e tutti noi”. La volontà di non partecipare alla votazione era stata resa nota in anticipo proprio per dare alla maggioranza la possibilità di trovare una soluzione, che non poteva essere rappresentata da una semplice nota di biasimo: in ogni fenomeno che si sviluppa c’è un momento in cui qualcuno deve dire no, “e questo è uno di quei momenti”. Il presidente Kompatscher, che faceva un lavoro contro la violenza sulle donne, si contraddiceva se accettava che il Consiglio regionale fosse rappresentato da una persona che usava parole di violenza. Certi gesti, in altri Paesi avrebbero portato subito alle dimissioni: oltre alle scuse, ci dovevano essere anche le conseguenze. Il comportamento di Savoi che restava al suo posto era inaccettabile, così come il fatto che la maggioranza non si dissociasse.
Alessandro Urzì (Fratelli d’Italia) ha chiarito che il suo partito era quello che più aveva subìto una forte mortificazione: colleghe di partito avevano avvertito una ferita profonda. Fratelli d’Italia aveva per prima fatto una richiesta all’Ufficio di Presidenza affinché fosse stigmatizzato e affrontato l’episodio. Savoi si era chiaramente e formalmente scusato, pertanto da parte del suo partito, con responsabilitá istituzionale, e su richiesta delle colleghe di gruppo, si era dichiarato chiuso il caso, “nonostante Fratelli d’Italia sia chiaramente all’opposizione”. Vero è che espressioni così forti creavano un danno nella sensibilità e nella coscienza collettiva, pertanto egli aveva apprezzato la dichiarazione di Bisesti, che nella seduta dei capigruppo si era espresso per una discussione in Consiglio regionale sul tema della violenza di genere, che si potesse concludere anche con una presa di posizione formale e ufficiale. Il suo gruppo però non partecipava a un’azione politica che aveva come fine la delegittimazione dell’istituzione regionale: se fosse mancata la maggioranza qualificata, l’istituzione non sarebbe più stata in grado di essere governata.
Paul Köllensperger (Team K) ha sostenuto che la delegittimazione dell’organo la operasse chi restava al suo posto e chi lì lo manteneva, non chi tentava di difendere la dignità dell’istituzione, come faceva l’opposizione. L’Ufficio di presidenza rappresentava tutti i consiglieri, quindi essi possono legittimamente dire la loro e chiedere che Savoi uscisse dall’Ufficio di Presidenza. Se la maggioranza avesse deciso di mantenerlo, se ne sarebbe assunta la responsabilità. La maggioranza dei ⅔ prevista non era casuale, bensì una norma che sollecitava la ricerca di un accordo: “Nessuno però è venuto a cercarci”. Il Consiglio sarebbe rimasto legittimo e in grado di prendere decisioni anche se non si fosse proceduto all’elezione.
Carlo Vettori (PATT) ha chiarito che certamente si trattava di un atto di resposnabilità dello stesso Savoi, che aveva già dato tutte le delucidazioni del caso. Era da chiarire se l’opposizione sarebbe uscita dall’aula, andando sull’Aventino, o se semplicemente non avrebbe partecipato alla votazione, perché nel primo caso si sarebbero bloccati i lavori con effetti anche sui poteri della Giunta: “E se slitta questo, ha ancora senso parlare di Regione?”. Se l’opposizione intendeva bloccare i lavori, egli si appellava al consigliere Savoi chiedendogli se valeva la pena bloccare la Regione per una questione come questa. Se si teneva alla Regione e al bene dei concittadini, ci voleva un passo indietro per il bene dell'istituzione.
Ugo Rossi (Gruppo Misto) ha chiarito che qualsiasi votazione per questi organi prevedeva, perché fosse valida, la presenza di almeno i ⅔ dei consiglieri: questo comportava una norma non scritta che poneva in carico a chi forma la maggioranza a inizio legislatura di garantire questi due terzi, mettendosi a confronto con i “riottosi” e trovando un accordo per garantire la presenza. Erano i presidenti Fugatti e Kompatscher ad avere la responsabilità di far funzionare l’ente regionale, non i consiglieri dei ⅔: se si teneva alla Regione, in virtù dell'accordo politico bisognava andare a cercare i numeri per garantire i due terzi. Egli per dare il suo voto riteneva importante che, nonostante le scuse, si procedesse a cambiare quel membro dell'Ufficio di Presidenza. In fondo, Savoi si era già dimesso dalla segreteria della Lega.
Alex Marini (Movimento 5 Stelle) ha evidenziato che a volte gli enti speciali del Trentino-Alto Adige si rivelavano migliori di altri, ma spesso anche peggiori. Nel Consiglio regionale del Piemonte, per esempio, era stata adottata una Carta etica, con principi - ispirati alla Costituzione - di trasparenza, correttezza, disciplina. L’assenza di una Carta di questo tipo in regione aveva dato come conseguenza i comportamenti del consigliere Savoi, che altrimenti non sarebbero stati oggetto di discussione. Bisognava riflettere sull’opportunità di adottare una tale carta, avviando un percorso virtuoso. La disciplina dell’elezione e del funzionamento dell’Ufficio di Presidenza erano disciplinate dallo Statuto, norma di valenza costituzionale, anche andava rispettata, ma il senso della Regione veniva assicurato nel momento in cui c’era un comportamento dignitoso e rispettoso.
Sara Ferrari (Partito Democratico), intervenendo a nome del suo gruppo, ha rivendicato una posizione netta e non ambigua, assunta fin dal primo giorno sia in Provincia che in Regione. Nella seduta precedente era stata rifiutata una discussione in merito, ma i lavori non erano stati bloccati. Se lo Statuto prevedeva la presenza di due terzi dei consiglieri e delle consigliere per questa elezione, evidentemente presupponeva un accordo. Il suo gruppo non avrebbe partecipato all’elezione se non fosse stata garantita la dignità dell’Ufficio di Presidenza, i cui componenti dovevano assumere comportamenti adeguati; non si poteva pensare di contrastare la violenza di genere e la cultura sessista solo a parole, senza un atto conseguente. Ferrari ha ricordato la vicenda del direttore generale della Nazionale italiana cantanti: egli era stato costretto a scusarsi e dimettersi. Savoi avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di rinunciare a rappresentare tutti; le scuse si accettavano se erano accompagnate da un gesto e bisognava essere d’esempio anche davanti alla cittadinanza.
Myriam Atz- Tammerle (Süd-Tiroler Freiheit) ha chiesto che fosse subito rimessa all’ordine del giorno la sua mozione di sfiducia contro la Giunta regionale: le premesse non erano più attuali, ma la parte deliberante lo era, perciò non era accettabile che essa fosse stata stralciata dall’ordine del giorno con atto unilaterale. La Süd-Tiroler Freiheit non avrebbe preso parte alla votazione, in quanto aveva sempre ritenuto non corretto il comportamento di Savoi, appoggiando la relativa richiesta di dimissioni. Ora si era davanti a un nuovo inizio, e c’era l'opportunità di avviarsi su una nuova via, cercando anche un nuovo tipo di collaborazione. La posizione della STF, così come quella delle altre opposizioni, era nota da giorni, e ciononostante non c’era stato un tentativo di mediazione, pertanto si restava su questa posizione: non si trattava di ostruzione, ma di dimostrare che non si era d'accordo con questa composizione dell'Ufficio di Presidenza: era un possibilità legittima e presente nel regolamento. La STF chiedeva da tempo lo scioglimento di Regione e Consiglio regionale e la trasmissione delle relative competenze alle Province, e la situazione attuale era una conferma della validità di questa proposta: il tutto era un teatro. La democrazia era un compromesso, e non solo portare avanti la propria volontà.
Il presidente Roberto Paccher ha chiarito che le argomentazioni alla base della mozione di sfiducia erano superate, in quanto Fratelli d’Italia non era più nell’esecutivo: la consigliera avrebbe potuto riformularla.
Michele Dallapiccola (PATT) ha ricordato che Durnwalder aveva parlato del fatto che a volteuna brava moglie è accompagnata da parenti terribili: in questo caso, la buona moglie era la SVP, i parenti la Lega. Egli aveva sempre avuto un comportamento moderato, non riteneva corretto rivolgersi alla magistratura o comportamenti ostruzionistici, ritenendo più importante lavorare con lo strumento della parola. Gli era stato chiesto di essere un uomo di sistema per un’alleanza, e lui aveva rispetto istituzionale: per questo rinunciava ad aderire all’iniziativa delle minoranze. Ha quindi sostenuto che il famoso commento non era scaturito da un atteggiamento sessista, ma da uno stile, un cliché comunicativo che non riguardava solo il gentil sesso. Il miglior processo educativo non era punire, ma fare un ragionamento: era un peccato che Savoi non fosse in aula per seguirlo, arrivando da sé alla conclusione che era opportuno dimettersi. Dallapiccola ha quindi annunciato di doversi assentare alle 12.30, e chiesto a chi aveva bisogno della maggioranza di organizzarsi per eventuale sospensione, se fosse stato necessario il suo voto.
Paolo Zanella (Gruppo Misto) ha ricordato di aver chiesto le dimissioni di Savoi dal ruolo di consigliere, considerando l’importanza delle parole e il dovere istituzionale anche all'esterno dell'aula. Egli non era nuovo a questo modo di esprimersi. Il fatto che anche chi apparteneva alla maggioranza, come Dallapiccola, si sentiva in imbarazzo a sostenere Savoi era significativo, e da biasimare era la mancata risposta alla lettera delle minoranze. Era stato superato un limite, e bisognava assumersi la responsabilità di dire no. La violenza sessista, omofoba, transfobica andava bloccata, e i consiglieri dovevano essere i primi a dare un esempio. Anche lui non avrebbe partecipato al voto, chiarendo però che la responsabilità di un eventuale blocco dei lavori era della maggioranza, ma in primis di Savoi stesso.
Franz Locher (SVP) ha chiesto di distinguere le due cose: si trattava di eleggere il presidente, mentre le eventuali dimissioni erano una questione che riguardava solo il consigliere Savoi. Ora toccava alla provincia di Bolzano determinare il presidente, e non era opportuno boicottare questa elezione tirando in ballo la questione Savoi. I 35 consiglieri altoatesini non sarebbero stati mai della stessa opinione, questo era chiaro, ma le opposizioni dovevano separare le due questioni.
Lucia Coppola (Gruppo Verde) ha sostenuto che il rispetto della persona veniva prima di tutto, e chi non era in grado di garantirlo aveva qualche difficoltà a stare in un luogo istituzionale. Si chiedeva, sulla base di un principio di responsabilità, di lasciare un ruolo istituzionale che era rappresentativo di tutto il Consiglio regionale, considerando che 24-25 persone non si sentivano rappresentate da un consigliere che aveva usato una terminologia così becera e triviale. Il non sentirsi rappresentati rendeva legittima l’uscita dall’aula, ma la responsabilità di far saltare il tavolo era del consigliere Savoi, che non aveva fatto alcun ripensamento. Non bisognava mandare ai cittadini un messaggio pessimo, in un momento in cui c’era particolare bisogno di opporsi all’odio - detto e agito. Se le cose non fossero cambiate, lei sarebbe uscita dall’aula.
Mirko Bisesti (Lega Salvini Trentino) ha ricordato l’intervento di Urzì, e invitato a non seguire quella parte dell’aula che “è qui per demolirla”. Con i capigruppo era stato proposto di confrontarsi sul tema in aula, arrivando anche a un documento comune, ma si rischiava che le sane intenzioni, per lo più di consiglieri a sinistra, facessero il gioco di chi stava usando la situazione per delegittimare l’aula. Chi citava il regolamento in merito ai ⅔, dimenticava che esso non prevedeva che un segretario questore fosse oggetto di votazione.
Riccardo Dello Sbarba (Gruppo Verde) ha rilevato che c’erano stati molti interventi sinceri, e appelli a Savoi a fare un passo indietro anche da parte di chi non aveva firmato la lettera delle minoranze: questo dimostrava che il tema veniva riconosciuto. L’Ufficio di Presidenza era un organo del legislativo e doveva rappresentare tutti i consiglieri e le consigliere, una parte consistente dei quali non si sentivano rappresentati da un Ufficio in cui sedeva un consigliere che aveva fatto affermazioni pesanti e violente. Le scuse non bastavano, ci volevano le dimissioni. Dello Sbarba si è e stupito del silenzio della SVP, con l’unico intervento di Locher che aveva sostenuto che l’unico problema era che il Sudtirolo avesse il suo presidente: questo rispecchiava la rappresentazione della stampa quando voleva denigrare i sudtirolesi. La SVP doveva uscire dal silenzio, perché la sua opinione contava tantissimo. Le opposizioni avevano deciso di uscire dall’aula senza fare il calcolo dei numeri, solo poi si era arrivati al terzo più uno: l’obiettivo non era mai stato quello di bloccare i lavori.
Giorgio Tonini (Partito Democratico) ha sottolineato che essere richiamati alla responsabilità da Locher e BIsesti lasciava perplessi, perché il richiamo veniva da una maggioranza che voleva occupare tutti i posti dell’Ufficio di Presidenza senza nemmeno prendersi la briga di comunicare le proprie intenzioni alle opposizioni. Le opposizioni avevano posto solo un problema di principio, riguardante una persona che aveva fatto un errore - cosa che può capitare a tutti - e che per questo si era dimessa da una carica partitica ma non da quella istituzionale, e ora addirittura si imputava a esse la colpa di voler affossare la Regione. Un semplice documento stigmatizzante era pura ipocrisia. Era la maggioranza politica che doveva trarre le conclusioni, opponendosi a un suo componente che metteva il suo interesse personale davanti quello dell’istituzione e tenendo conto che, secondo Statuto, l’istituzione non è nelle mani della sola maggioranza.
Gerhard Lanz (SVP) ha ricordato che all’ordine del giorno c’era l’elezione di presidente e vicepresidenti, ed era su quello che il suo gruppo aveva preso posizione. In quanto all'altro tema, le espressioni di Savoi erano da condannare e la SVP l’aveva fatto, chiarendo esse non dovevano restare senza conseguenze: e conseguenze c’erano state. Le scuse andavano rivolte non a chi era vicino, ma a chi era stato oggetto di quelle espressioni, che non potevano essere cancellate: e queste persone avevano accettato le scuse. Il tema dell’elezione di presidente e vicepresidenti non andava mescolato con quello delle esternazioni, e del resto andava sottolineato che se le opposizioni lamentavano che nessuno le aveva cercate, “nessuno ha cercato nemmeno me”. Non prendere parte alla votazione era un diritto, ma la responsabilità di bloccare i lavori sarebbe stata di chi non avrebbe partecipato, senza nemmeno considerare il tema nei suoi interventi e senza proporre nemmeno una controcandidatura. Vincolare la partecipazione alle dimissioni sarebbe stato un precedente pericoloso anche per occasioni future. Lanz ha quindi ribadito la candidatura di Josef Noggler.
(MC) Ufficio stampa Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige
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