La proposta di una nuova legge sul biologico approvata dalla Giunta provinciale di Trento non è quanto i Biodistretti si aspettavano.
Quella che poteva e doveva rappresentare una pietra miliare nella storia dell’agricoltura biologica trentina e che poteva disegnare un profilo innovativo e finalmente identitario del settore si è ridotta ad una generica integrazione delle legge N 4 del 2003.
Non sono sufficientemente rappresentate, infatti, le istanze della società civile e del mondo produttivo che stanno emergendo in maniera ineludibile a livello globale come si evidenzia dalle direttive europee in tema di ambiente, agricoltura, economia e sviluppo che fissano, per esempio, l’aumento del biologico al 25% delle superfici entro il 2030.
Le nuove politiche agricole comunitarie prevedono inoltre maggiori incentivi per l’agricoltura biologica unitamente a fondi per il Green Deal (biodiversità, lotta agli inquinamenti e progetti di economia sostenibile), per il programma Farm to Fork (dalla fattoria alla tavola per una sana alimentazione) e per il Piano sulla biodiversità (aumento delle aree naturali e lotta agli inquinamenti).
Questi indirizzi di politica agricola, (ad iniziare dalle risorse finanziarie), sono indicati in maniera insufficiente nel disegno di legge della Giunta provinciale “Modificazioni della legge provinciale 28 marzo 2003, n 4”.
Per il momento storico che stiamo vivendo, contrassegnato dall’esigenza di rilanciare l’economia circolare e un’autentica sostenibilità ambientale, sarebbe stato opportuno promuovere una legge ad hoc per sancire la volontà della Provincia di riconoscere concretamente il valore sociale, ambientale ed economico dell’agricoltura biologica.
Cosa si aspettavano quindi i Biodistretti e le aziende che rappresentano e più in generale il mondo del bio fatto di produttori, trasformatori e addetti alle vendite?
Un dispositivo che fosse occasione di un approfondito confronto sui temi che vengono portati avanti da anni in modo laico e mai ideologico, con passione e competenza e che hanno portato nell’ultimo anno, per fare un esempio fra i tanti, al riconoscimento dei Tre Bicchieri del Gambero Rosso a cinque aziende aderenti ai Biodistretti. Fatto che ha contribuito a dare lustro non solo alle imprese, ma a tutto il Trentino.
Immaginavamo una legge veramente partecipata che rispondesse alle richieste della società civile e ai bisogni delle nostre comunità e non percorresse la strada della tattica politica che di fatto ha svuotato le osservazioni che abbiamo presentato al d.d.l. del loro significato profondo, frutto del lavoro di settimane da parte dei Biodistretti per arrivare preparati e con proposte ponderate al confronto istituzionale ed avviare così un serio percorso di concertazione.
I tempi incomprensibilmente strettissimi, il mancato confronto che ha portato ad un inserimento avulso dal contesto delle nostre osservazioni, ha prodotto una proposta di legge che incentiva solo in parte l’agricoltura biologica.
Paradossalmente il disegno di legge della Giunta provinciale si propone come un provvedimento che toglie anziché aggiungere risorse all’agricoltura biologica se pensiamo che l’Articolo 3 (Modificazioni all’articolo 47 delle legge provinciale sull’agricoltura 2003 e qui cogliamo il senso e la volontà di caratterizzare il provvedimento come revisione della L. 4 invece che come nuovo corpus autonomo) prevede il taglio del contributo per le certificazioni trascorsi i primi cinque anni.
Un taglio operato secondo logiche liberistiche e di mercato, che possiamo anche comprendere, ma che andrebbe applicato a tutte le aziende e settori economici del Trentino e non solo a quelle biologiche.
Soprattutto non si tiene minimamente conto delle plusvalenze ed esternalità positive per il territorio e la comunità che configurano l’iniziativa di finanziamento come un investimento e non come un costo per la Provincia autonoma. Il taglio significa per il settore del biologico un ammanco annuo di disponibilità pubblica di circa 700.000 euro senza che nel testo presentato vi sia traccia di una sostanziale iniziativa di compensazione che preveda per esempio analoghi investimenti nel campo della ricerca applicata a vantaggio di tutto il settore.
In sostanza quello che doveva e poteva diventare un modello per tutta l’Italia che metteva assieme esperienza, visione e volontà politica si è rivelato un dispositivo inadeguato per dare risposte concrete alle istanze della società civile, inclinando il principio di responsabilità che troppo spesso la politica dimentica o vuole dimenticare.
Nello specifico i Biodistretti propongono:
-La necessità di modificare l’articolo 3 del d.d.l. (modificazione dell’articolo 47) per togliere il taglio alle certificazioni ed individuare con maggiore esattezza e continuità le risorse da destinare ai Biodistretti ed aumentarne le disponibilità.
-La modifica dell’articolo 8 (66 ter Distretti biologici di interesse provinciale) in quanto la stessa istituzione dei Distretti biologici, provvedimento contenuto peraltro nel quadro legislativo europeo, non viene sorretta da adeguati dispositivi che ne concretizzino la struttura ed il finanziamento pur in presenza del trasferimento di compiti e ruoli di interesse pubblico come l’educazione e la formazione, l’aumento della biodiversità, la tutela del patrimonio naturalistico e paesaggistico, la difesa della coesione sociale, l’incentivazione del risparmio energetico e del riciclo dei rifiuti.
-Si rimandano inoltre al regolamento troppi aspetti che invece devono rientrare nella legge tra i quali i criteri di base per l’istituzione dei Distretti come l’individuazione di un numero minimo di operatori e di superfici investite a biologico, fatto questo che potrebbe indulgere all’avvio di iniziative di Distretto a puro interesse promozionale o di facciata, ma senza presupposti di carattere operativo, professionale ed economico in linea coi principi della proposta di legge.
-É assente l’istituzione di un tavolo provinciale dei Distretti biologici inteso come organismo di raccordo e di rappresentanza che potrebbe fungere da interfaccia con le istituzioni e gli enti che si occupano dello sviluppo del settore come l’Ufficio per le produzioni biologiche presso l’Assessorato provinciale e l’Unità Agricoltura Biologica presso la Fondazione Mach, strutture per le quali non è previsto in legge un adeguato sostegno e potenziamento.
-Il disegno di legge non definisce infine attraverso quali strumenti, anche finanziari, intenda affidare all’agricoltura biologica e ai suoi operatori il ruolo per la tutela attiva del territorio e il potenziamento della biodiversità, della corretta alimentazione, della promozione dell’ambiente e del paesaggio nell’ambito di un’attività professionale ed economica in evoluzione e crescita sia dal punto di vista dei fatturati sia del consenso da parte dell’opinione pubblica e dei consumatori.
I Biodistretti di Trento, della Valle dei Laghi e della Valle di Gresta, prime realtà auto organizzate dei sistemi locali connessi all’agricoltura biologica, ritengono pertanto necessaria ed auspicabile la ripresa del confronto e del dialogo con l’Assessorato competente e la Giunta provinciale al fine di affidare a questo settore il ruolo strategico che merita anche in considerazione del grande interesse e della sensibilità diffusa presenti in ampi settori della cittadinanza e del mondo dei consumatori/acquirenti sui temi del biologico e dell’economia sostenibile.
Giuliano Micheletti, Presidente Biodistretto di Trento
Michele Bortoli, Presidente Biodistretto della Valle dei Laghi
Loris Cimonetti, Presidente Biodistretto della Valle di Gresta
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