Se all'interno della prima ondata di un'emergenza sanitaria che sta coinvolgendo tutto il mondo con tragici effetti un po’ di imprevisti e di errori si potevano anche giustificare, ciò non lo si può più fare per la seconda, ancor meno lo si potrà fare per la terza ondata, posto che le criticità emerse sono sostanzialmente le stesse e che ad oggi conosciamo molto meglio il virus di quanto non lo facessimo lo scorso anno.
Nell'ultimo periodo mi sono arrivate molte segnalazioni relative a storie di pazienti ricoverati negli ospedali trentini per problemi diversi da quelli generati dal virus SARS-CoV-2 (ciò è testimoniato dall’esito del tampone negativo effettuato nel triage che precede l'entrata al nosocomio) e che – per un motivo o per un altro – nel corso della degenza hanno finito per entrare in contatto con il virus, infettandosi e venendo trasferiti nei reparti Covid dove, purtroppo, i familiari ne perdono le tracce fino al momento in cui – in molti casi – non ricevono la telefonata che ne annuncia la dipartita.
A chi è costretto a ricevere questa notizia, oltre allo sconforto e alla tristezza che caratterizzano ogni lutto, rimane sempre l'amaro in bocca per non aver potuto essere presente nel momento del bisogno di un familiare o di una persona cara, oltre ad un sentimento che rischia di minare la fiducia nelle istituzioni sanitarie. È infatti inaccettabile il fatto che una persona che in un momento di estrema fragilità e debolezza si sia fatta ricoverare in un ambiente dove dovrebbe potersi sentire protetta, in cui dovrebbero essere adottate tutte le buone pratiche e precauzioni affinché il contagio venga evitato, finisca per morire a seguito di un'infezione che – senza timore di smentita – può ben essere definita figlia dei tagli alla sanità.
Ci tengo a ricordare come già prima dell'emergenza Covid-19 le infezioni ospedaliere uccidessero in Italia circa 50mila pazienti all'anno, segno evidente di come negli ultimi anni si sia investito davvero poco nella prevenzione. È risaputo che i tagli alla prevenzione sono quelli che – se tutto va bene – danno meno nell'occhio, ma è altrettanto vero che in un contesto emergenziale come quello in cui stiamo vivendo essi hanno lasciato un segno profondo, acuendo le criticità a cui giornalmente assistiamo. Torno a ribadire come l’unica via di uscita da questa emergenza sia rappresentata da un lato nell’investimento in prevenzione all'interno degli ospedali e dall'altro nella gestione a domicilio dei malati Covid che non presentano una sintomatologia particolarmente grave attraverso la valorizzazione della figura e dell'esperienza dei medici di base. Fino a quando continueremo ad aspettare che si sviluppino i sintomi più gravi per trasportare d'urgenza in terapia intensiva gli infetti invece di utilizzare le conoscenze in nostro possesso per curarli nelle prime fasi della malattia, non ne verremo più a capo.
Cons. Claudio Cia – Fratelli d’Italia
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