Il 20 febbraio 2020 è stato scoperto il presunto paziente “0” contagiato dal virus SARS-CoV-2, un 38enne; il giorno successivo si è avuto il primo decesso, un 78enne. Da allora sono passati 365 giorni e in questo lasso di tempo ci sono stati 95.718 morti e 2.809.246 contagi. Sono stati emanati 24 d.P.C.M e un'infinità di ordinanze da parte di Regioni e Province. Siamo rimasti chiusi in casa, cancellate tutte le occasioni di socializzazione, sacrificata ogni tipo di attività aziendale e commerciale con perdita di reddito per migliaia di famiglie. L'Italia ha chiuso il 2020 con un calo del Pil dell'8,8%. Nel nostro Trentino il crollo è stato di oltre il 10%, tanto forte da privare l'ultimo bilancio provinciale di ben 500 milioni di euro rispetto al precedente, eliminando di fatto risorse fondamentali per la realizzazione di opere e per l’erogazione di servizi.
Ad ogni nuova richiesta di sacrificio ci è stato detto che essa era essenziale per poter ritornare alla vita precedente, ma così non è stato. Nonostante il rigido lockdown di marzo 2020 e le seguenti chiusure più mirate nelle Regioni e Provincie che settimanalmente si colorano di rosso, arancione o giallo, il virus rimane oggi molto insidioso, tanto che l'Italia si colloca al quinto posto tra i primi 20 Paesi per morti (Il Sole 24 Ore).
Non si vuole colpevolizzare qualcuno per questa ecatombe. Tuttavia non si può tacere che nell’ultimo decennio vi sia stata una mancata valorizzazione della medicina territoriale, materializzatasi con l'assenza di un vero programma di sostituzione dei medici di base in età pensionabile. Questo ha fatto sì che – nel pieno dell’emergenza – molti dei nostri paesi si siano ritrovati senza una figura di riferimento importantissima. A ciò è naturalmente da aggiungersi l’assenza di un protocollo unico, chiaro ed applicabile in tutte le realtà sanitarie territoriali per la gestione dei malati (soprattutto nei primi – ed importantissimi - giorni dall’infezione). Di fatto ogni ambulatorio si è ritrovato ad applicare un proprio protocollo di cura del paziente, basandosi sull’esperienza empirica del professionista e sulle informazioni che di volta in volta il paziente forniva telefonicamente senza poter essere visitato; a seguire venivano date indicazioni di come curarsi.
In questo modo, tuttavia, i malati sono rimasti a casa senza essere realmente visitati e senza una terapia adeguata fino a quando le loro condizioni non erano così gravi da richiedere il ricovero ospedaliero urgente (quando ormai poteva risultare troppo tardi). L’abbandono dei malati a domicilio, registratosi da nord a sud, è stato spesso causato – e lo è ancora - dalla paura del contagio vissuta anche dai medici. Risulta chiaro che se si continua a pensare che questa infezione si debba e si possa curare solamente in ospedale, non se ne verrà più a capo.
In tutto ciò l'ossessiva campagna mediatica giornaliera, improntata più a terrorizzare che a informare, non è certo stata d’aiuto. Anche il mondo scientifico si è mostrato diviso e contraddittorio, se non addirittura mendace: sulle origini e sulla natura del virus, sulla diffusione e sulla pericolosità, sulla prevenzione e sulla cura.
Ora siamo di fronte ad un nuovo step di quella che ben si può definire “strategia del terrore” e che pare volerci preparare a nuovi sacrifici. Si parla sempre più insistentemente di nuove varianti del Covid-19 come se queste giungessero inaspettate, quando invece è risaputo che i virus – soprattutto quelli a RNA come il Coronavirus SARS-CoV-2 (ma anche quello che causa l'influenza) – sono soggetti a continue mutazioni.
Mi chiedo: ma se davvero tutto fosse andato come previsto e come ci avevano assicurato, dopo un anno di emergenza sanitaria, saremmo ancora al punto di partenza? Io credo sia necessario avere il coraggio di dire basta. Diciamo basta a chi alimenta una paura che distrugge le vite e le relazioni. Finiamola di farci del male, di privarci della libertà di socializzare. Smettiamola di distruggere la nostra economia che permette di vivere alle nostre famiglie e dalla quale traiamo le risorse per sostenere il sistema sociale che garantisce a tutti i cittadini l'accesso ai servizi, compreso quello sanitario, e alle forme di assistenza fondamentali.
E’ urgente prendere coscienza che la medicina territoriale - così come l’abbiamo vissuta - è inadeguata nonostante il grande impegno dimostrato dai sanitari. E’ chiaro che va necessariamente ripensata per meglio gestire questa e future emergenze sanitarie. A ciò si aggiunga che la vaccinazione di massa in tempi rapidi e certi, ad oggi, è la vera e unica strada sicura per ridurre la diffusione del virus, tutto il resto si è rivelato fallace e a certificarlo sono i dati. Nei Paesi dove la campagna vaccinale si è già concretizzata, si è assistito ad una riduzione dei contagi pari al 90%. Possiamo farcela, impariamo dal passato: ai tempi del colera, nel 1973, Napoli diede una prova di grande efficienza e nel giro di sette giorni furono vaccinati un milione di napoletani. Se sono riusciti nell’impresa nel 1973, perché non riusciamo a farlo oggi?
Cons. Claudio Cia
Fratelli d’Italia
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