CULTURA | STORIA | TRENTINO
Una delle peculiarità del Trentino risiede, senza ombra di dubbio, nella sua autonomia speciale.
Ma quando è nata e perchè?
Ce lo racconta il professore e storico Armando Vadagnini con un approfondimento sul Primo Statuto...
Professore, quando nasce "l’autonomia" del Trentino?
La nascita dell'autonomia risale alla fine della Seconda Guerra mondiale. Fu un tema che suscitò grandi dibattiti fra i trentini. Si diceva che quasi ogni trentino se ne andasse in giro con un progetto di statuto in tasca!
In generale si può dire però che i trentini avevano l’autonomia nel proprio dna...
Certamente. Il modo di intendere l’autonomia come forma politica di autogoverno risale a otto secoli fa, cioè alla formazione del Principato vescovile di Trento, che era fondato su una vasta rete di autonomie concesse ai paesi e alle valli. Di sicuro non si trattava di amministrare grandi patrimoni pubblici, perché il Trentino era molto povero, ma tutti i poteri definiti nelle cosiddette “carte di regola”, patrimonio di ogni comune, avevano creato nei cittadini un certo senso di orgoglio, di attaccamento al proprio territorio, che veniva curato con passione e difeso. Questo sentimento civico locale venne trasmesso da una generazione all’altra. Non parliamo poi delle battaglie dei trentini nell’Ottocento contro il governo austriaco per ottenere l’autonomia della minoranza italiana inserita nell’impero asburgico.
Rovereto ebbe uno sviluppo più ampio di altre parti del Trentino?
Sì, anche perchè la Città della quercia nel 1400 fu occupata dalla Repubblica di Venezia sotto la quale rimase per circa un secolo. Venezia portò molte novità. Appoggiò grandi opere e attività manifatturiere oltre allo sviluppo culturale.
Possiamo dunque dire che queste, sinteticamente, sono le lontane radici dell’anima autonomista trentina?
Esatto, nel secondo dopoguerra i trentini chiesero al governo di Roma l’autonomia e iniziarono a preparare schemi di statuto. Si mossero i partiti, soprattutto l’ASAR, che voleva dire Associazione studi per l’autonomia regionale. Era un movimento politico, non un partito vero e proprio. Aveva varie correnti al suo interno, ma era compatto nel chiedere un’autonomia integrale e regionale, da Ala al Brennero, pur restando dentro i confini dell’Italia repubblicana e democratica.
Non era separatista dunque?
Almeno sulla carta no. Il separatismo era portato avanti invece da un movimento clandestino che aveva contatti con esponenti tirolesi. Volevano l’annessione all’Austria. Non ebbe grande successo perché quando i ministri degli Esteri delle potenze alleate nel giugno 1946 stabilirono che il confine del Brennero doveva rimanere intoccabile, allora si sciolsero e, chi più chi meno, confluirono nelle file dell’ASAR.
L'Asar fu un'associazione molto attiva...
Sì, si in molti si impegnarono per far avere a Roma i propri progetti di statuto. A pensarci bene, sembra una cosa straordinaria, ma risulta che in poco più di due anni in Trentino furono preparati una ventina di progetti di statuto, discussi animatamente sui giornali locali, corretti dall’intervento dei cittadini, rifatti varie volte, presentati sulle piazze in grandi comizi e poi inviati a Roma.
Qual era il sentimento del governo rispetto a queste richieste?
Il governo dal 10 dicembre 1945 era guidato dal trentino Alcide Degasperi che era favorevole a un’autonomia di tipo regionale. L’aveva già affermato chiaramente in un discorso alla Consulta nel gennaio 1946. Mentre vari gruppi dei sudtirolesi di lingua tedesca e il loro partito, la Südtiroler Volkspartei, chiedevano un’autonomia solo per il Sudtirolo o addirittura l’annessione all’Austria, Degasperi e quasi tutti i partiti politici trentini pensavano invece a un’autonomia regionale, naturalmente con garanzie per la minoranza tedesca del Sudtirolo.
L’accordo Degasperi-Gruber (ministro degli Esteri austriaco) del 5 settembre 1946 aveva fatto propria questa visione regionalista dell’autonomia?
Sì e no. Perché se il primo articolo elencava le tutele che giustamente l’Italia avrebbe assunto a favore della minoranza sudtirolese di lingua tedesca, il secondo articolo, che avrebbe dovuto delineare le dimensioni sia geografiche che amministrative dell’autonomia, risulta piuttosto ambivalente, dicendo insomma che il “quadro” entro cui sarebbe stata concessa l’autonomia sarebbe stato determinato consultando anche gli esponenti locali dei sudtirolesi. Questo voleva dire che il “quadro” dell’autonomia non era stato ancora definito e sottintendeva che al momento di definirlo i rappresentanti dei sudtirolesi sarebbero stati solo “consultati”, non coinvolti direttamente nelle trattative.
E cosa successe?
Degasperi istituì a Roma l’Ufficio Zone di confine. Il trentino Luigi Menapace, che ne faceva parte e che era favorevole al dialogo con i sudtirolesi, in un suo scritto ricorda che molti uomini politici del Sudtirolo, preparati e mentalmente aperti, si recarono a quell’Ufficio con proposte e suggerimenti, che vennero presi in seria considerazione dal governo.
A lavorare sull'iter dell'autonomia vi fu anche una Commissione, giusto?
Sì, Degasperi diede in mano a una Commissione di sette esperti il compito di chiudere la questione. Peccato che non vi fosse presente nemmeno un trentino o un sudtirolese, ma solo rappresentanti dello Stato, anche se molto competenti.
Il problema era che stavano finendo i lavori dell’Assemblea Costituente, che doveva redigere la Costituzione e approvare gli Statuti speciali di quattro Regioni. Il tempo era limitato. Al testo dello Statuto però, in extremis, furono portate varie modifiche, imposte anche dai rappresentanti della Volkspartei. Anzi questi ultimi, tra l’altro, fecero inserire il discusso articolo 14, che dieci anni dopo farà cadere la prima autonomia.
Come fu accolto il primo Statuto in sede locale?
C’era soddisfazione per il grande lavoro svolto in tutti quei mesi, ma non trionfalismo. Si capiva benissimo che non tutto era risolto. I sudtirolesi da parte loro non nascondevano l’insoddisfazione, anche se vedevano accolti molti dei loro desiderata. Nella prima riunione del Consiglio regionale, Silvius Magnago, nominato vicepresidente del Consiglio, disse che bisognava fare poca politica e molta amministrazione. Da tutte due le parti si riteneva, insomma, che fosse possibile migliorare di molto le condizioni economiche e sociali della regione, creando anche un modello di convivenza pacifica tra due popolazioni di lingua diversa.
Il primo statuto speciale viene approvato dall'assemblea costituente - con la legge costituzionale - il 26 febbraio del 1948.
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